Nate Parker dirige ed interpreta un uomo nato schiavo che muore per la libertà
Il titolo può trarre in inganno e far pensare ad un remake di un illustre caposaldo del cinema. Invece, quasi a voler beffeggiare il controverso film di Griffith, Nate Parker chiama The Birth of a Nation il suo personale urlo di ribellione contro ogni oppressione, raccontando in modo semplice ma potente la storia di un uomo che ha detto addio alla schiavitù dichiarando guerra ai suoi padroni.
Scritto, diretto e interpretato da Nate Parker, vincitore del premio della giuria e del pubblico al Sundance, The Birth of a Nation mette in scena la vita di Nat Turner, un uomo nato schiavo che dalla Contea di Southampton, Virginia, è diventato predicatore e poi “soldato ribelle” guidando il suo popolo verso la libertà.
Ci sono tanti, tantissimi film che trattano con più o meno intensità la schiavitù degli africani in America, e The Birth of a Nation nulla aggiungerebbe a questo abusato filone, in apparenza. Eppure c’è qualcosa di intenso, drammatico, straziante in tante sequenze del film. La parte iniziale, introduttiva, così lenta nei suoi passaggi narrativi ma caratterizzata da luci e fotografia incredibili, è il preludio perfetto ad una parte centrale estremamente violenta in immagini e contenuti ed entrambe contribuiscono a rendere in qualche modo efficace l’epilogo, quello in cui avviene la ribellione, quello in cui ha luogo la rivolta del popolo, quello in cui nasce una nazione. Una nazione chiamata libertà.
E’ un film che arriva al cuore con facilità, The Birth of a Nation, e che racconta una pagina di storia che vorremmo sepolta in un triste passato. Al di là della retorica, però, il film di Nate Parker è necessario, ora più di allora, non tanto per ricordare ciò che è accaduto, ma perché abbracci simbolicamente chi, ancora oggi, vive nel terrore della discriminazione.
E riecheggiano nel vento – come in uno dei punti più intensi del film – le parole di Abel Meeropol, che in Strange Fruit di Nina Simone diventano il canto straziante dei corpi violati, appesi agli alberi, che drammaticamente si muovono al ritmo dei venti del sud e che rappresentano il frutto – strano – di una libertà perduta.