La storia di un bimbo diviso a metà che cerca la sua identità.
Il fascino e la maledizione dell’India, una terra dai mille volti, nel film intenso (a tratti drammatico e commovente) per la regia di Garth Davis: Lion – la strada verso casa. Con tre attori validissimi quali Nicole Kidman, Rooney Mara e Dev
Patel. Il film è tratto dal romanzo autobiografico di Saroo Brierley “A long way home“; in Italia uscirà a fine novembre edito Rizzoli.
La povertà di una terra ricca di umanità e desolazione. Donne e bambini costretti a trasportare pietre o a lavori pesanti che possono anche ucciderli. Bimbi troppo piccoli per lavorare, ma che devono resistere alla fame e agli stenti, ma anche difendersi da trafficanti di bambini spregiudicati e dalla violenza degli adulti, di finti santoni e salvatori che prima li picchiano e poi sono disposti a rivenderli, considerandoli come oggetti e trattandoli da mera merce di scambio. L’unica salvezza sembrano le adozioni, ma non è facile: per chi decide di adottare, adotta anche il passato tormentato di questi adolescenti traumatizzati. Convinti a voler fare del bene e che le adozioni possano essere un modo per cambiare davvero le cose e migliorare il mondo, il cammino per arrivare a questo traguardo è lungo, faticoso e difficile. Tormentato come le anime erranti di chi ha dovuto lasciare, suo malgrado, la sua terra natia e cerca di ricongiungere le sue due identità, passato e presente, per andare incontro al futuro.
È quello che accade al piccolo Saroo, che a soli 5 anni si perde a Calcutta alla stazione, dove era andato con il fratello maggiore Guddu.
Cerca di ritornare a casa, ma ha idee vaghe e i ricordi si fanno sempre più flebili. Finché rinuncia quasi e viene adottato da una famiglia australiana. Molto legato alla sua nuova mamma (Sue, Nicole Kidman), smette quasi di cercare quella sua vera e suo fratello. Asciuga le lacrime di Sue e tenta di godersi la sua ‘nuova’ vita. Ha una fidanzata (Lucy, Rooney Mara), va a ballare in discoteca con lei e a studiare a Melbourne gestione alberghiera. Eppure sogna tutte le notti la sua madre indiana: qualcosa dentro di lui è irrisolto e lo tormenta. Ha delle domande cui deve trovare delle risposte. Assolutamente. Altrimenti non avrà pace. Per fortuna tramite Google Earth riuscirà pian piano a ricostruire i pezzi della sua vita.
Ispirato a una storia vera, non è tanto la vicenda narrata a essere originale quanto la sceneggiatura, il modo in cui è girato. Non c’è un uso tradizionale del flash-back, ma le dimensioni del Saroo piccolo e di quello cresciuto si sovrappongono come fossero quasi contemporanee, a significare l’emblematica equivalenza di entrambe le fasi temporali nella sua personalità. Se il ricordo al flashback ha una durata più rapida e breve rispetto ai canoni tradizionali che siamo abituati a vedere nel cinema, noi conosciamo poco a poco ciò che è veramente accaduto il giorno in cui si è perso, contemporaneamente al riaffiorare del ricordo nella sua mente. Il ritmo si fa sempre più incessante e intenso. Se l’inizio stenta e si dilunga forse un po’ troppo, è anche per la necessità di mostrare il contesto di una terra e di una popolazione in difficoltà.
Eppure, quando si parla di India, nella testa di Saroo c’è sempre una melodia dolce e tranquilla di sottofondo, che dà un senso di pace, come se il riuscire a ritornare lì significasse l’aver trovato quell’equilibrio rincorso per tutta la vita. Saroo vi farà ritorno, infatti, solo dopo 25 anni. Eppure nulla sembra mutato in lui nel legame che lo unisce all’India, così come alla sua famiglia australiana. La globalizzazione sembra davvero aver compiuto il miracolo di unire due terre così distanti. Le scene finali del film, non solo testimoniano la veridicità dei fatti, ma fanno capire come le distanze e le differenze (sociali, culturali, razziali ed etniche) siano solamente barriere fittizie e di comodo che si possono superare facilmente con la volontà. Il coraggio e la voglia di un combattente; o di un leone, per dirla con il Lion del titolo. Esso deriva dal fatto che Saroo scoprirà anche che il suo vero nome è ‘Sheru’, che significa appunto ‘leone’. Per capire cosa voglia dire vivere una situazione del genere (separazione, ricongiungimento e cambiamento), per un’evoluzione e una mutazione sociali, culturali e mentali piuttosto che esistenziali (questo il vero miracolo compiuto), basta riportare le parole della madre indiana di Saroo. Ella disse di essere stata “sorpresa come da un tuono” e di aver provato “una felicità profonda come il mare” quando rivide il figlio. Difficile capire per chi non ha mai perso nulla. Inevitabile per chi sente di non sapere più chi sia, da dove venga. La paura di affrontare l’ignoto e di non sapere più quello che si troverà sono nulla a confronto del senso di vuoto provato.
Sembra un destino già segnato sin dall’inizio. Il testo della canzoncina che cantava con i suoi coetanei da piccolo dipingevano già uno scenario un po’ apocalittico, in cui all’orizzonte si ventilava una lunga odissea per quelli come loro. “Le stelle sono uscite a cercare la luna, così anche gli sfortunati come noi sono usciti a cercarla e tutti insieme poi sono usciti a cercare il ladro“. Metaforicamente la luna è la speranza, il futuro, la fiducia in un domani migliore; il ladro tutti coloro che hanno rubato loro e li hanno privati dell’innocenza. Il suo sentirsi sempre diviso a metà (parla solo hindi e non bengalese), lo spinge alla ricerca di questo ricongiungimento che per lui equivale alla sua identità, a scoprire chi è. Per questo è bella e significativa l’immagine di lui che cammina con il fratello sui binari del treno: si tengono per mano, ma stanno anche bene attenti a restare in equilibrio su quei tracciati che rappresentano due vite che scorrono parallele, due destini diversi, due possibili finali per la loro storia. Tuttavia un cammino comune che li porta a loro stessi; un viaggio che ha una struttura circolare come il film, in cui questa scena lo apre e lo chiude. In questo ambito si inserisce la seconda parte del titolo: ‘La strada verso casa’; in tutte le storie di formazione la metafora del treno e dei binari è spesso adottata. Qui lui deve capire qual è casa sua, dove è e dove stare. Una scelta importante in cui si chiede come poter conciliare gli opposti che lo caratterizzano.
Il ricordo del fratello Guddu sarà, infatti, sempre vivo dentro di lui; come, specularmente, è protettivo con l’altro fratello adottivo della famiglia australiana: Mantosh, intelligente quanto problematico. Partire da se stessi per ritornarvi con consapevolezza è il suo sogno e desiderio più grande, che ha il sapore delle jalebi: un cibo tipico indiano che amava da piccolo e che tornerà a gustare a Melbourne. Gli ricorderà il suo passato portando con sé l’interrogativo: anche altrove, a Melbourne, può essere sempre se stesso? Davvero ormai il mondo è così unito e vicino e tra Australia e India non vi sono distanze incolmabili? Questa è la globalizzazione. Il film si divide in varie parti che ripercorrono i 25 anni di distacco dall’India. Dunque un percorso di formazione, di crescita e maturazione, che è anche storico. Dalla partenza al ritorno a Calcutta, in quei decenni, quali sono stati i cambiamenti? È il segno dell’immutabilità mutevole della storia, con i suoi corsi e ricorsi, che si ripete sempre uguale, in cui tutto cambia per non cambiare, sembra resti tutto immobile, mentre vi sono trasformazioni rivoluzionarie. Il dislivello sociale tra ricchi e poveri è sempre più forte: i Paesi più sviluppati si evolvono, mentre in quelli poveri la miseria è la stessa se non di più. Le tecnologie d’avanguardia non permettono di colmare questo gap enorme, un differenziale che non permette pari diritti e di restringere le iniquità. I contrasti sembrano accentuati nonostante gli sforzi di avvicinarsi a realtà così floride, fertili, preziose e abbondanti umanamente. La storia di un bimbo di 5 anni di Madras è quella (pressoché identica) di tanti altri suoi simili, persino di molte differenti parti del mondo. Lion uscirà nelle sale il 22 dicembre. Per regalare un pensiero e una riflessione speciali a chi ha bisogno.