Nato da un testo del poeta e giornalista romeno Matei Visniec, come spiegare la storia del comunismo ai malati di mente, interroga i meccanismi per i quali una popolazione s’innamora di un’idea al punto da stravolgere tutti i comportamenti naturalmente e storicamente sedimentati nei secoli.
Lo spettacolo svela con acume e ironia i tragici e insanabili paradossi del regime stalinista grazie ad un raffinato racconto allegorico.
Mosca 1953, anno della morte di Stalin. Il direttore dell’Ospedale Centrale per Malattie Mentali è convinto di aver scoperto una nuova e rivoluzionaria cura per i malati del suo manicomio: raccontare loro la Storia del Comunismo. In uno scenario grottesco e surreale la missione viene affidata al giovane poeta Yuri Petrovski che, pur dubbioso sull’efficacia terapeutica tanto sbandierata, elabora uno stile narrativo idoneo allo scopo e inizia il suo viaggio tra i malati. L’opera si snoda tra le perplessità del poeta sull’intera operazione, medici che adorano feticisticamente Stalin, infermiere ninfomani che vogliono copulare con chi ha conosciuto il dittatore russo, e malati che sono più sani di quello che sembrano. Il rapporto tra Yuri e i “malati” diventerà solidale al punto che i vertici del manicomio cominceranno ad accusarlo di essere “un sabotatore della rivoluzione”.
Matei Visniec ha studiato storia e filosofia all’università di Bucarest, sotto il regime di Ceauşescu. Dal 1977 al 1987 scrive numerose pièces teatrali, che circolano diffusamente nell’ambiente letterario rumeno, ma a cui è vietata la messa in scena dalla censura. Nel 1987 abbandona la Romania per trasferirsi in Francia, dove chiede asilo politico. Qui comincia a scrivere in francese, lingua in cui sono scritti i suoi testi più noti, e lavora come giornalista per Radio France Internationale. Dopo la caduta di Ceauşescu 1989, è divenuto uno degli autori più rappresentati in Romania dove, nell’ottobre del 1996, il Teatro Nazionale di Timişoara gli ha intitolato un festival. In quell’occasione, dodici compagnie hanno rappresentato sue opere. Le pièces di Vişniec sono state tradotte e messe in scena in oltre venti paesi.
L’opera di Vişniec testimonia da subito una tensione ideale, una resistenza culturale e politica contro la manipolazione ideologica. Cittadino e osservatore di due mondi, quello comunista e quello delle democrazie liberiste occidentali, denuncia, attraverso i suoi drammi, spesso in toni metaforici, il sistema, l’autarchia del partito, la polizia onnipresente, la censura vissuta sotto il regime e dall’altra parte i pericoli del lavaggio del cervello, dello schiacciamento dell’individualità, della manipolazione che vede incombere sulla civiltà dei consumi. Da esule avverte le analogie tra l’uomo nuovo – quello completamente integrato che, secondo la propaganda, doveva nascere dal comunismo – e l’uomo-spazzatura, generato, questa volta con maggiore successo e su scala planetaria, dal consumismo.
di Manuela Tiberi