Giorgio Albertazzi in scena fra giovani talenti, fino all’ 8 febbraio
Un bel teatro ha il suo fascino, si sa.
Per il Ghione sarà il “cupolone”, così vicino nella fredda sera romana, o forse quei neri e rossi del foyer. Aggiungiamo alla nostra scenografia un maestro del teatro italiano, Giorgio Albertazzi, e l’eterno genio di Shakespeare, riadattato dallo stesso.
Ecco allora una piacevole serata, che non dovreste perdere.
La Storia:
Bassanio è un giovane veneziano che vuole conquistare l’ereditiera Porzia. Per farlo ha bisogno di denaro e chiede all’amico Antonio di fargli prestito, ma egli avendo tutti i suoi beni investiti in navi mercantili per mare, deve chiedere credito all’ebreo Shylock. Fra Antonio e Shylock non corre buon sangue, sia per differente credo che per le accuse di strozzinaggio rivolte all’ebreo. Per questo Shylock coglierà l’occasione e pur concedendo il prestito, in caso di mancato pagamento pretenderà una penale stabilita in una libra di carne di Antonio.
Così, le avventure amorose per la conquista della bella Porzia, si incrociano con la mala sorte delle navi di Antonio e alla fuga dalla casa paterna di Gessica, figlia di Shylock. L’orgoglio, il dolore e il tradimento renderanno l’ebreo inesorabile, tanto da portare Antonio di fronte al Doge pretendendo il suo terribile prezzo.
Il riadattamento di Albertazzi si focalizza sui temi portanti dell’opera, l’amicizia, l’amore, la fedeltà all’una ed all’altro e la vendetta di Shylock.
L’esuberante ebrezza d’amore dei giovani e al contempo il pregiudizio e l’odio degli anziani, sono come le maree in continuo avvicendarsi nella rappresentazione.
L’ebreo è di certo la figura focale di questo adattamento, non solo per l’interpretazione di Albertazzi, che a 91 anni sul palco dimostra tutta l’esperienza e il fuoco sacro mai sopito, ma anche, come nel testo classico, per il personaggio controverso del mercante. Shylock è al contempo vittima e carnefice, di altri e di se stesso, per il proprio egoismo e per la propria condizione.
La rappresentazione scenografica è minimale, Venezia è richiamata da un unico ma distintivo elemento, “il ponte”. Questa struttura portante che divide fra sopra e sotto, avanti e retro, momenti, luoghi e situazioni. Lascia scorrere dietro di sé albe e tramonti, notti di fuochi sull’acqua, voli di stormi e mari in tempesta proiettati a video sul fondale, suoni ambientali e composizioni di pianoforte danno una sferzata moderna, alla scelta più classica, seppur sempre gradita, degli abiti storici.
Per la maggior parte del tempo è una scelta in sordina, comoda di certo per velocità e costi, eppure ci stupisce rafforzando con chiarezza alcuni momenti, come quando una traccia di filo spinato scorre sul fondale durante il famoso monologo di Shylock:
“Non ha occhi un ebreo? Non ha mani, organi, statura, sensi, affetti, passioni? Non si nutre anche lui di cibo? Non sente anche lui le ferite? Non è soggetto anche lui ai malanni e sanato dalle medicine, scaldato e gelato anche lui dall’estate e dall’inverno come un cristiano? Se ci pungete non diamo sangue, noi? Se ci fate il solletico, non ridiamo? Se ci avvelenate non moriamo?”
Cruda, come la libra di carne pretesa, è la dichiarazione indignata del personaggio. L’antisemitismo è dichiarato nel testo e nella realtà storica da cui proviene, se Shakespeare lo approvasse veramente o meno è materia d’interpretazione e qui è così esorcizzato, se mi si concede il termine.
Sul palco, Albertazzi (Shylock) riempie la scena con la sua voce, che esprime al pubblico con grande intensità tutto ciò che al corpo non è più concesso fare, Franco Castellano(Antonio) è una sempre apprezzata controparte, acuta ma leggera Stefania Masala (Porzia), alla loro calma si contrappone la fisicità esuberate dei giovani, Francesco Baccarinelli (Bassanio) assieme a cui spiccano gli interpreti di Gobbino Lancillotto “Job” (Cristina Chinaglia) e Graziano (Diego Maiello). Questi ultimi, entrambi portavoce di verità. Dietro la burla, dietro la coscienza, i personaggi secondari tanto cari al Bardo e che inevitabilmente colpiscono il pubblico.
Cosa aspettarsi da questo Mercante di Venezia?
Aspettatevi di vedere il male vestito di tristezza, la pietà di poveri stracci e l’amore di fuochi sulla laguna. Citazioni. Tante, ovunque, di Shakespeare e per Shakespeare, omaggio, risata, la freschezza della burla e del sottinteso. Canti. In ultimo la neve, come cenere sul capo del vinto. E quando la sentenza sarà decisa, in realtà sarete voi, andando via, a decidere se la libra di carne fosse un giusto prezzo.
Quello del vostro biglietto invece, sarà ampiamente ripagato.
Se in più avrete la possibilità di accedere dietro le quinte o la pazienza di attendere fuori al teatro qualche minuto. Potreste stringere la mano al Maestro Albertazzi, fargli i complimenti di persona, non solo con i sonori applausi del finale, e sentirvi a vostra volta ringraziare, come è capitato a me. “E’ bello vedere della gioventù a teatro” dice il Maestro “Stasera poi che tra le prime file qualcuno russava.”.
Un grande privilegio.
Un grazie a Lisa, per avermi dato questa possibilità.
di Giada Perfetti