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Cultural Bridge: la danza che abbattere tecnicismi sterili

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Cultural Bridge: la danza che abbattere tecnicismi sterili

Cultural BridgeL’improvvisazione e la creatività nel processo creativo e condiviso

Nella sezione di cultura e spettacolo di Eclipse scrivevamo della finale di “Amici”. Ora vogliamo parlarvi di un gruppo formato da un coreografo di fama internazionale, Andrea Cagnetti, che potrebbe fare scuola anche a talent come “Amici”, oppure “X-Factor” o “The Voice”. La disciplina principale è la danza, non la musica, ma anche quest’ultima viene affrontata in maniera diversa, in un tutt’uno con il copro e l’ambiente circostante l’artista; il danzatore o la danzatrice diventa co-protagonista e non protagonista assoluto della scena e della coreografia messa in campo. Andare oltre le etichette, i ruoli, i canoni classici di danza, che annullano quasi tutta la positività esistente in una disciplina elegante, nobile, versatile quale la danza. E se Greta cantava: “è solo rumore”, Cagnetti insegnerà che ogni suono che ascolti suscita delle reazioni da cui nascono pulsioni ed emozioni, a cui corrispondono reazioni che, incastonate con le dinamiche di altri colleghi, portano ad un prodotto, una coreografia unica. Poiché, per parafrasare Moreno, “dalle piccole cose nascono grandi progetti”, con il Cultural Bridge di Cagnetti tutto nasce dalla semplicità dei piccoli gesti, della quotidianità. Vivere insieme, un po’ nella casa come facevano i ragazzi di “Amici” nelle scorse edizioni, in una sorta di “reality”, se così si vuol definire la trasmissione condotta da Maria De Filippi, che aiuta a crescere, a maturare e sviluppare il senso del vivere civile, di collettività, fratellanza, umanità, dove risiede la vera sostanza della danza e della coreografia stessa. Ma non un “reality”, se si vuole tenere il termine, alienante quale quello del film di Matteo Garrone, ma quello costruttivo, sinonimo di una visione ad ampio raggio della vita e della danza. Ed, infatti, il gruppo costituito da Andrea Cagnetti con le selezioni allo Ials di Roma, dello scorso 24 giugno, vive insieme da settimane per preparare i numerosi eventi estivi a cui ha partecipato, diffondendo questa disciplina nuova, creativa, innovativa, poliedrica, che è il cultural bridge. Tutto diventa strumento e parte della coreografia, ma l’unico fondamentale è la creatività e la propria emotività. Essere se stessi fino in fondo. Un insegnamento di vita, di un approccio diverso alla vita, fuori dai pregiudizi e dai preconcetti. Nulla è escluso, purché filtrato attraverso la propria anima, il proprio sentire messo in relazione all’altro, imprescindibile. Non sappiamo se i provini di “Amici” siano avvenuti alla stessa maniera delle selezioni di Cagnetti, sicuramente possono fare scuola, viste le reazioni dei ragazzi, che ci raccontano la loro esperienza con entusiasmo, raccontandosi e aprendosi condividendo la loro vita e la loro carriera. “Stiamo lavorando sul secondo step, quello di come motivare la tecnica, che ognuno ha ormai già appreso. È bellissimo che sia rispettata la diversità di ognuno e che sia indispensabile per quel motivo. Liberarci dalle sovrastrutture che abbiamo e dare spazio agli impulsi che sentiamo e che proviamo. L’importante è quello che accade mentre stiamo lavorando in quella direzione; la performance è basata sull’improvvisazione: colgo lo stato d’animo, ci ragiono, reagisco e vado; non è come devi fare una cosa, ma come la senti, altrimenti non è credibile, non è sincero” quello che rappresenti, commenta Francesca, presa ed entrata nel gruppo, nonostante non abbia superato le selezioni.

“Ho avuto una prima formazione accademica di neoclassico e contemporaneo, poi invece volevo riuscire ad andare oltre tecnicismi sterili e dare un senso a quello che facevo. Lavoravo con coreografi in cui mi si diceva che il mio braccio deve essere a 45 gradi, senza spiegarmi il motivo, ed ho smesso perché andavo in palla. Troppo nozionistico nuoce, anche se ci vuole. Approfondire a livello teorico come siamo fatti aiuta moltissimo. Dobbiamo portare la danza a livello culturale più che federale. Adesso stanno cercando di far diventare la danza più sportiva con la federazione della danza, ma è un’altra cosa piuttosto che l’atletica, o il nuoto; se c’è un conservatorio di musica per quale motivo non c’è un conservatorio statale di danza come negli altri Paesi europei, ad esempio in Spagna e in Francia? Con insegnanti pagati dallo Stato che ti garantisce dal punto di vista della qualità? Non ci si dovrebbe commercializzare per andare avanti nella danza, ma renderla fruibile a tutti con prezzi più abbordabili. La danza può ucciderti, se finisci nell’Accademia può diventare una patologia, un’angoscia, qualcosa di negativo; invece non c’è nulla di negativo né nella danza né nell’espressione di se stessi, in quanto forma artistica. Dovremmo dare a tutti l’opportunità di formarsi senza spendere costi eccessivi, di avvicinarsi alla danza”, suggerisce Noemi che aveva già lavorato con Cagnetti nel 2008-2009. Chissà se Eleonora Abbagnato condividerebbe le sue ultime battute. Certo l’ammirazione per la tecnica di Nicolò è stata palese per tutti, giurati compresi. Ma la danza è veramente solo e soprattutto tecnica?

E, a proposito di giurati, ci ha fatto riflettere e vogliamo riportare un’affermazione di Sir. Elthon John: “The Voice produce delle grandi nullità. Serve solo ai giudici”. Ovvero crediamo volesse dire che non bisogna concentrarsi sul “dare voti”, “giudicare”, “notare la perfezione più o meno totale delle esecuzioni”, ma essere più dei maestri che una sorta di ‘arbitri’ di una competizione che, poi, una volta può andar bene e un’altra male, poiché sono molte le contingenze che entrano in campo. Come un campione che sbaglia a tirare un calcio di rigore. Non è che per quello è meno campione. Quello che conta è quello che si riesce a comunicare, poiché l’arte è una forma di comunicazione.

E a proposito di talenti, chissà se Cagnetti avrebbe voluto Nicolò nel suo gruppo. La certezza è che è riuscito a tenere in Italia un talento cileno, il 31enne Pablo, venuto nel nostro Paese con una borsa di studio per Milano. “Ho condiviso – afferma – in pieno la prova di improvvisazione: il corpo deve essere libero nel movimento”, che deve essere guidato dal flusso delle emozioni estemporanee che prova. “Nella danza occorre alienamento, più che allenamento”. La tecnica se uno ce l’ha non gliela toglie nessuno, ma la concentrazione deve essere massima nel captare il rapporto e il legame forte che unisce se stesso, alla musica, al passo di danza, all’ambiente circostante e a tutti gli altri elementi della danza. Non si è mai soli sul palco, c’è sempre l’altro a farci da specchio nel recepire le sensazioni che gli trasmettiamo. Ma prima deve esserci una percezione e un filtro personale, individuale del tutto. Dell’insieme. Del gruppo, fatto di singoli: tutti uguali e la tempo stesso diversi. Confronto, apertura, condivisione, creazione partecipata sono le parole chiave del progetto di Cagnetti e del suo processo creativo. Che nasce, cresce, si sviluppa, si modifica, contemporaneamente al vivere comune, mentre si è a pranzo, mentre si fa la lavatrice, mentre si cucina, mentre si prepara il caffè, mentre si ride, si scherza e si gioca. La danza è anche divertimento e passione. Quest’ultima il comune denominatore di tutti e cinque i ragazzi. Ed è il coinvolgimento di cui finora Helene, giovane romana e promessa della ginnastica artistica poi regalata fortunatamente alla danza, aveva sentito di più la mancanza “a volte anche di rispetto, spesso durante le stesse audizioni, dove sei un numero, sia che l’audizione vada bene che non”. Un altro limite superato con Cagnetti, un amico di famiglia che ben conosceva.

“Le audizioni non erano come me le aspettavo, perché genericamente si valuta solo la danza, mentre Andrea ha voluto valutare anche la capacità di adattamento al suo processo creativo e di intendere la danza in modo molto più vasto”, a 360 gradi, spiega la 18enne Gioia.

Audizioni svoltesi in tre dure prove: una in cui dovevano descrivere, prima a parole e poi con la danza, il proprio mondo interiore; un’altra in cui dovevano rappresentare col ballo il modo in cui la gente vede il/la candidato/a, anche se non ci si rispecchiano; infine, un’ultima, con cui mostrare ciò in cui si eccelle.

Non possiamo dire se queste siano le modalità delle selezioni di “Amici” o se rispecchino il metodo di insegnamento dei docenti di “Amici”. O se sia l’ennesimo anticonvenzionalismo di Cagnetti. Di certo i ragazzi del suo gruppo sono….amici. Questa forse è la vera ricchezza che hanno trovato, al di là del successo, dell’insegnamento tecnico. Domenica festa finale di questo “tirocinio psicologico-esistenziale”: dobbiamo prepararci alle lacrime, agli abbracci della finale di “Amici”?

di Barbara Conti