Da una band che calca le scene da 16 anni non si sa mai cosa aspettarsi. Ma con l’uscita di Straight through my heart, il primo singolo, se non altro si poteva iniziare a fare delle ipotesi: nonostante il riff, ispirato un po’ troppo a Sweet dreams degli Eurythmics, il ritmo da dancefloor e il ritornello tipicamente pop fanno di questa canzone una bella hit “scala classifiche”. Ma già ascoltando Bye bye love, una rilettura di Forever di Chris Brown, cominciamo a capire l’idea che è alla base di quest’album: piegarsi ad un sound commerciale puntando alle vendite. L’ipotesi, è confermata dal team di autori e produttori che sono dietro ai pezzi peggiori dell’album, come If I knew then, scritta dal Claude Kelly di Circus di Britney Spears; She’s a dream, prodotta da T-Pain; e Masquerade, scritta e prodotta da Brian Kennedy, lo stesso produttore di Forever di Chris Brown.
Il paradosso? Il personaggio che avrebbe dovuto fare più danni, RedOne, dietro al successo di Just dance e Poker face di Lady GaGa, è quello che ha riservato le sorprese più interessanti: dalla stessa Straight through my heart, da lui prodotta, fino a All of Your Life (You Need Love), di cui è co-autore: anche in questo brano, l’album, sembra respirare per un attimo, virando leggermente da una direzione dance/pop scontatissima. La stessa goffagine la ritroviamo anche nei testi, come quello di PDA (Public Display of Love) in cui, versi come “Kissing and touching with my hands all over your booty” (N.D.R.:“Ci baciamo e ci tocchiamo con le mie mani sul tuo sedere”), fanno davvero sorridere: meglio la sfrontatezza lirica di Eminem e dei Kings of Leon. In sintesi This is us, è un disco pensato come un’operazione di marketing, neanche tanto furba, di cui si salva ben poco (neanche la title track). Ma dietro ad album come questi, c’è un altro grande colpevole, indiretto, ma sempre presente: Timbaland. Il sound creato dal produttore americano, ha dettato legge in materia di pop/r&b negli ultimi due anni e da quel momento la musica non è stata più la stessa. C’è chi lo rincorre e chi lo emula ma Timbaland, non è più il “Re Mida” della musica commerciale. I suoi “poteri” che facevano diventare oro tutto quel che toccava, sono diventati troppo presto quelli della “Medusa”: al solo guardarlo, ci si trasforma in pietra. Chi ha ideato This is us ha pensato proprio a lui, al suo sound iper-prodotto e artificioso: dispiace vedere i Backstreet Boys prendere una strada, battuta da troppi, che sembra non appartenergli per niente. Quest’album forse avrà successo (perché molti fans sono quelli di sempre e comprano sulla fiducia, perché i nuovi amano Rihanna, Chris Brown e Lady GaGa) o forse no (perché la gente inizia a stancarsi di ascoltare le stesse cose). Si suppone che dopo 16 anni di onorata carriera si abbia voce in capitolo sulla propria musica e, dai Backstreet Boys, ci saremmo aspettati una scelta più coraggiosa.