Un colpo alla testa ha spezzato la sua giovane vita di ventenne già problematico: la droga, il gioco d’azzardo. Lo stesso destino di morte è toccato poche ore dopo a suo padre, Juan José, avvelenato in casa con una dose letale di nicotina nel whisky.
È la maledizione dei Seminari, iniziata con il capostipite Don Viciente, l’unico uomo superstite della famiglia: una ricchezza immensa accumulata in Venezuela con traffici illeciti e bagni di sangue. Toccherà ora a lui cadere vittima di quest’oscura forza vendicatrice che pare affondare le radici nel passato della famiglia Seminari?
È questo l’interrogativo che assilla il giovane commissario De Vincenzi della Mobile di Milano, chiamato ad indagare sui delitti e deciso ad evitare ulteriori spargimenti di sangue.
Ma il mistero è fitto e dipanarlo non è affatto facile.
L’assassino doveva conosce bene le sue vittime, forse è addirittura un familiare: Dan è morto con un’espressione placida sul volto, solo un poco attonita, come se qualcosa lo avesse sorpreso; Juan José è stato avvelenato nella sua stanza da letto, quando il commissario De Vincenzi aveva già dato ordine ai suoi uomini di sorvegliare la casa, impedendo l’allontanamento dei suoi abitanti e l’ingresso di estranei.
L’indagine sembra arenata a un punto di stallo quando a scompigliare le carte, dando un fondamentale impulso, interviene un bellissimo gatto nero di nome Satana, con le sue zampette sporche di sangue. E l’inchiesta, così, comincia finalmente a prendere il verso giusto.
Quest’ulteriore capitolo della saga del commissario De Vincenzi conferma lo straordinario talento narrativo del suo creatore,
Augusto De Angelis, a ragione considerato l’inventore del giallo poliziesco all’italiana. Tanto più meritorio ove si consideri l’epoca in cui scriveva: pieno regime fascista, che certo non amava quel genere letterario, visto come “fumo negli occhi”, in un tempo che vaneggiava invece di “porte aperte”.
Per questo l’opera di De Angelis appare ancora più interessante e affascinante: pur muovendosi nei limiti di una forma espressiva che gli consentisse di passare indenne alle scuri della censura – dunque, non un antifascismo conclamato, ma un evidente “afascismo” – egli non rinunciava a far trasparire il suo pensiero avverso alla dittatura. Il suo eroe, il commissario De Vincenzi, non ha nulla delle caratteristiche eroiche celebrate dalla retorica del Ventennio: è un giovane <<bruno, assai distinto, con uno sguardo penetrante e nello stesso tempo quasi stanco, malinconico>>. È un temperamento romantico, di gusti umanistici e atteggiamenti tolleranti, del tutto privo di protervia o pose machiste.
È questo interessante contorno storico che colpisce, costituendo testimonianza dei rapporti tra fascismo e cultura, tra oppressione e ricerca di elusione, tra repressione e margini di libertà. A ciò si aggiungano le qualità intrinseche dell’opera di De Angelis: una trama sapientemente costruita che regge fino all’ultimo il mistero; una scrittura elegante, ricercata, evocativa, che non ha mai attimi di cedimento alla sciatteria o allo scontato.
Augusto De Angelis
L’impronta del gatto
Sellerio
pp. 250
€ 12,00
di Rosa Maria Geraci