La bellezza e la tenerezza della diversità
Affascinante il nuovo libro Razzismo all’italiana di Marilena Delli. Molto biografico nel raccontare, aprendo il cuore, la sua vicenda personale di afro-italiana, ma che è quella di tutta una generazione di giovani degli anni Ottanta soprattutto. Quella di una ragazza dalla pelle nera, nata in Italia, che si è sempre sentita “una bianca che veniva paradossalmente discriminata dai bianchi”, mentre in Africa era considerata una “privilegiata”, “fortunata”. Quale la sua terra allora? Non vuole parlare “dei soliti luoghi comuni” sul razzismo, ma della fiducia di chi ha la speranza in una “nuova Italia”, quella del cambiamento possibile, di cui è stata testimone in prima persona. Per questo si definisce “una sorta di spia”, che ha “testimoniato tutti i mutamenti: subendo discriminazioni, ma al contempo crescendo, maturando insieme alla nuova Italia”. Un’Italia che oggi accoglie quasi 5 milioni di stranieri, “un numero raddoppiato negli ultimi 10 anni, destinato a salire” evidenzia l’autrice nel volume. La certezza che “quand’ero ragazza io ero un’eccezione; ora sono la regola”, nonostante ci sia ancora molto da fare. Il razzismo non è morto, anche se è innegabile che “col trionfo della multiculturalità e del plurilinguismo”, siano state abbattute molte barriere culturali e forme di ghettizzazione. Lei stessa si sente “più libera”, nonostante il rispetto sia ancora difficile da vedersi riconosciuto. O forse semplicemente si accetta per questa sua molteplicità di connotati che racchiude, un’accettazione dura, una lotta e una conquista faticata, come il rapporto di amore-odio coi suoi capelli, che ha significato riequilibrare quello con se stessa e trovare la sua identità: è stata anche la riscoperta della sua africanità più viva, più sana, più vera. Donna di mondo, ha naufragato per mille mari: dall’Abruzzo alla Lombardia, dalla Lombardia alla California, dalla California all’île de France, dall’île de France alla Lombardia, per ritornare a Bergamo, che ha riscoperto città meno turisticizzata e più vivibile. Marito americano, ha conservato sempre l’atteggiamento tipico di chi “ride cogli occhi ma piange col cuore”, quello di un’anima tormentata e profondamente scossa da nostalgia e malinconia per l’Italia, l’unica terra che sente sua, ma che a lungo l’ha quasi rifiutata. Questo libro insegna proprio anche il profondo senso di attaccamento a un Paese (che si considera la propria terra e unica patria), la scoperta del significato più reale e profondo di questo termine.
Sempre su questo duplice binario di ambivalenza si muove tutto l’originale libro dell’autrice. Se, come afferma Stella Jean, “dobbiamo viaggiare per cambiare il nostro destino”, Marilena Umuhoza Delli sembra aver seguito alla lettera questo prezioso insegnamento. Catapultata in un melting pot che definisce “trionfale”, si è resa presto conto dei contrasti che questo le suscitava, soprattutto interiormente. Si è sentita spesso disadattata ed ha cercato di cambiare e annullare persino i suoi connotati fisici. Sorprende la lucidità drastica con cui associa la situazione e la storia dei neri come lei a quella molto, molto simile dei gay o degli ebrei da parte dei nazisti: entrambi “perseguitati, sfruttati, malmenati, derisi, sottovalutati, emarginati, eliminati”. Tutti ugualmente considerati, ritenuti e profondamente convintisi di essere degli “inadatti” per la società in cui vivevano, sempre “derisi, discriminati, emarginati” appunto. “Una discriminazione subdola, nascosta dietro a una cultura antiquata e ristretta”, quella subita. Un senso di responsabilità per la scrittura e per quello che comunica e per lo scopo di questo suo testo che traspare netto: lottare contro “i germi dell’inquinamento mediatico”. Una ricerca terminologica ed etimologica accurata, simbolo della puntualità con cui vuole riferirsi a questioni non più trascurabili.
Un’oggettività di lettura che deriva proprio dai ruandesi: “gente fiera e dignitosa, ma semplice, che si accontenta di poco senza lamentarsi, che ridimensiona le mie priorità”. L’esempio più grande le è venuto dalla madre, che le ha insegnato costantemente la dignità di cercare di cavarsela sempre da sola.
Da giovane ha avuto sempre la sensazione di essere “sopportata e tollerata e non rispettata quale essere umano”. Tuttavia è da adulta che capisce che: “non basta tollerare lo straniero, bisogna accettarlo e festeggiarlo; riconoscerlo parte integrante del nostro Paese; accoglierlo appieno e farlo sentire uno di noi, come noi. Un’accettazione dello straniero e del diverso che deve essere totale”. Questo significa inserimento sociale. Nel finale del libro sicuramente è più categorica e non risparmia neppure di citare quelle che chiama “le linee guida per il razzista perfetto”. Prima di passare in rassegna tutte le contraddizioni esistenti in Italia al riguardo. A partire dal protettore di Verona, enclave leghista, che è San Zeno, vescovo nero. Poi, se è vero che esiste un numero verde dell’Unar (Ufficio Nazionale Anti–discriminazioni Razziali) per denunciare un caso di razzismo, dall’altra c’è anche l’omologo quasi xenofobo messo a disposizione da Forza Nuova. Tuttavia è proprio perchè esistono ancora situazioni del genere che il suo attivismo si è fatto più forte, a difesa della multiculturalità e della lotta al razzismo. Con diverse misure ed iniziative: con la creazione del suo blog “Afroitalian”, della pagina Facebook “Afroitalian4ever” (con oltre quattromila adesioni) e del suo profilo personale “Marilena Umuhoza”.
Se nel libro, poi, si interroga spesso sul significato di “sentirsi nero dentro” e sul senso dato e sull’accezione che ha assunto (soprattutto in passato) il colore nero, spesso connotato negativamente (altra discriminazione) e associato a prostituzione (o al lutto), non manca di notare quanto esso sia legato alle più vaste problematiche del rispetto per la donna e del proprio corpo. Così come non si esime dal considerare che si tratta di un excursus che risale indietro nel tempo, da ripercorrere per capire tematiche che hanno origini storiche. Sono le citazioni celebri che è andata a ricercare che ne danno prova. Due su tutte risaltano agli occhi: quella di Martin Luther King “Ho un sogno. Che i miei bambini un giorno vivranno in una nazione in cui non saranno giudicati per il colore della pelle, ma per l’essenza della loro personalità”. E quella di Viola Davis agli Emmy del 2015: “L’unica cosa che separa le donne di colore da chiunque altro è l’opportunità”. Quella che lei ha voluto dare con il marito, produttore musicale, ad artisti di strada provenienti da tutt’Africa: Mali, Malawi, Kenya, Sud Sudan, Rwanda. Quelli che si sono costruiti una chitarra con una tanica di benzina, o un tamburo con una lattina di Coca–cola.
Per questo l’impegno di Marilena non si arresta. Prosegue la promozione di Razzismo all’italiana, le prossime tappe le ricordiamo sono: il 25 luglio alla Libreria Griot di Roma e poi il 6 ottobre a New York; ma ella ci riserva altre soprese che ci ha voluto gentilmente anticipare. “Ho un terzo libro, in realtà –ci svela-, che è uscito a febbraio ed è firmato da mio marito Ian Brennan, ma contiene le mie fotografie: ‘How music dies (or lives) – field recording and the battle for democracy in the arts’, che è la raccolta dei nostri viaggi alla ricerca di artisti di strada dal terzo mondo, culminati in tournée e album, tra cui ‘Zomba Prison Project’ (nominato ai Grammy’s quest’anno nella categoria World Music)”. Che dire? Tanto di cappello a chi cerca di insegnare a guardare oltre ogni superficiale apparenza e banale convinzione erronea, priva di fondamento e reale conoscenza. “Un conto è atteggiarsi da nero; un altro è comprendere la cultura afro e immergervisi. Afro, poi, mi sembra una parola così generica; un concetto a cui molti associano la cultura di 53 Stati. Per questo alcuni mi chiedono se parlo l’“africano” (alla faccia delle oltre 1.500 lingue che ne fanno parte)”, è la sua lezione. Mai generalizzare in maniera riduttiva e troppo semplicistica, ci rivela. Infine vogliamo concludere con la stessa profonda dedica che lei ha riportato nel suo testo: “A te che viaggi, che sogni, che speri. Che sei disposto a tutto per difendere ciò in cui credi. Cittadino del mondo, sostenitore della multiculturalità. A te che sei speciale perché sei come sei; con quel bagaglio culturale che ti distingue, rendendoti unico. Grazie di cuore”. Non dimentichiamo mai il valore della diversità.
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