È un racconto corale, I Detective selvaggi di Roberto Bolaño, spalmato su vent’anni e due, quasi tre continenti, pronunciato in prima persona da attori non protagonisti e comparse a cui va il compito di ricostruire le vicende di due stelle distanti. Arturo Belano e Ulises Lima. Fondatori dell’improbabile e geniale corrente poetica del realvisceralismo, detective romantici sulle tracce della sorgente del proprio movimento letterario, selvaggi bohémien divisi tra fame e donne, sussidi e viaggi in autostop, droga e letteratura. È di costoro che si parla, sempre, nelle 800 pagine di questo capolavoro, eppure si parla d’altro, e con voce d’altri. Voce di padri impazziti di nostalgia, di figlie che hanno perso la strada, di puttane pericolose e innamorate, di fidanzati sedotti e dimenticati, di donne che si inginocchiano solo davanti alla poesia, di uomini che annaffiano il fallimento con fiumi di tequila e di ricordi. Sullo sfondo, a spiare coppie e compagnie male assortite, una Città del Messico di bar e strade da percorrere a piedi e una teoria di alloggi di fortuna in varie parti del mondo.
Ci si perde e ci si ritrova, tra i testimoni confusi di questo libro, seguendone gli indizi e le digressioni, e scoprendo quasi subito che non c’è niente da scoprire. Nessun colpevole, nessuno scomparso, nessun corpo del reato, nessuna identità celata, nessun oggetto del desiderio. Proprio niente. A parte una sensazione nauseabonda, che ti strizza lo stomaco e ti fa spalancare gli occhi, che sale in gola all’improvviso e poi ti rimane addosso, e non te la togli più. Alcuni la chiamano verità.
Roberto Bolaño
I Detective selvaggi
Sellerio 2009
816 pagine, 16.50 euro
di Flavia Vadrucci