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Nino Vetri: Le ultime ore dei miei occhiali

Le_ultime_ore_dei_miei_occhialiRicordi frammentati, che emergono da una Sicilia poliedrica – la guerra, lo sbarco dei liberatori, la pace, la quotidianità familiare fatta di vacanze in campagna con i nonni e i cugini – per fare rapide incursioni nel presente: i propri cari che invecchiano, le passioni che animano una vita intera.

È un album di ricordi privato quello che Nino Vetri traccia nel suo “Le ultime ore dei miei occhiali” (Sellerio), raccolta di istantanee di un’esistenza isolana, formato fototessera, ma dotate di una straordinaria capacità evocativa.
Ritratti di personaggi unici, vividi, tra cui spiccano con uno spessore particolare quelli del nonno fascista e del padre ammalato.
«Mio nonno quando ero piccolo irrompeva con la sua macchina dentro il cortile di casa mia, poi con le mani ai fianchi gridava il mio nome e diceva “barbiere!” e mi portava a tagliare i capelli a zero»; lui, invece, «cambiava spessissimo connotati. Una volta aveva dei baffetti sottili, un’altra volta il pizzetto, qualche volta la barba. Ma sempre le mani ai fianchi e il mento puntato verso l’alto. Un retaggio. “Non facciamo i mammolini!” mi diceva».
Diversa la figura paterna, descritta con tenerezza affettuosa, un tempo forte e rassicurante ed ora avviata verso un inesorabile declino: «Mio padre stenta a ricordare le cose più recenti. Quelle più lontane, della sua giovinezza, della sua infanzia o anche di quella dei suoi figli le ricorda alla perfezione». Una perdita di memoria che non si riesce ad arginare con alcuna cura medica: «Cosa devo dire alla dottoressa? Che disturbi ho? Io mi sento benissimo …». «Disturbi della memoria, papà …». «Ah!». «Ma se io sto benissimo perché andiamo dal dottore? Che problemi ho?». «Disturbi della memoria, papà …». «Ah!».
Un affresco commuovente, che con tocco lieve e umorismo sottile descrive l’inesorabile passare del tempo, la precarietà dell’esistenza, inesorabile condizione umana.

Nino Vetri
Le ultime ore dei miei occhiali
Sellerio
pp.75
€ 10,00

di Rosa Maria Geraci