Ma comunque non mangeremmo le persone. No. Non le mangeremmo. Per niente al mondo. No. Per niente al mondo. Perché noi siamo i buoni”.
Un paesaggio a tinte livide, un mondo in fase terminale, un’umanità quasi estinta. L’apocalisse che racconta
La strada, l’ultimo romanzo di
Cormac McCarthy, ha i colori prevedibili della fine: il grigio della polvere, il bianco sporco della neve, il nero del sole morente a mezzogiorno. Ma quello con cui ti colpisce dentro, appiccicandoti quasi in apnea alle pagine e ai passi dei suoi protagonisti, non è la disperazione dello scenario. È la tenerezza dell’uomo.
Lungo la strada sono in viaggio, a piedi con un carrello da supermercato, un padre e il suo bambino, età approssimativa 9 anni – come il figlio di McCarthy John Francis, a cui il romanzo è dedicato. Motivo della partenza: la fine del mondo. Per una mai raccontata catastrofe, un disastro ecologico forse, o una crisi militare di dimensioni planetarie, la terra si è trasformata in una landa di morte e disperazione. Gli animali sono quasi del tutto estinti, gli uomini li raggiungeranno presto, e la natura fa da quinta a uno scenario in cui la vita è solo un lontano ricordo. Sopra tutto una cenere perenne, che copre il sole, la luna, la neve, i pochi alberi rimasti ancora in piedi. E la strada. Dentro questa cenere, provano a sopravvivere i nostri due eroi, partiti per la fine del mondo e diretti a sud, in fuga dal freddo.
Gli echi dell’
11 settembre ci sono tutti, come lo stesso McCarthy ha ammesso nelle interviste più recenti. Ma questa nuova fonte di ispirazione si fonde con uno dei semi che più hanno fecondato l’opera dello scrittore: la frontiera. Ne La strada, Premio Pulitzer 2007, la frontiera non è più quella geografica tra Texas e Messico, come nella trilogia costituita da
Cavalli selvaggi,
Oltre il confine e
Città della pianura. In questo nuovo viaggio, la frontiera è tra la vita e la morte, tra buoni e cattivi, tra amore e odio, tra coraggio e paura. Ed è una frontiera non assoluta e, per questo, mai prevedibile. Una frontiera tutta personale, che si staglia nell’animo dei protagonisti, i quali – un po’ come negli altri romanzi di McCarthy – sanno esattamente cosa fare oppure non lo sanno per nulla.
Non ci sono sfumature, non ci sono grigi. L’unico grigio è fuori, ovunque. L’uomo e suo figlio si muovono nella cenere, bruciano di vita, “
portano il fuoco” e insieme a quello gli ultimi barlumi di umanità in un mondo in cui i sopravvissuti tengono in vita i propri simili per usarli come cibo. Ma loro sono i buoni. Quelli dei ricordi di famiglia, del sangue che lega, dei sogni, della bellezza che si riesce ancora a vedere negli occhi infossati di un bambino che non mangia da giorni. I buoni, che continuano e camminare e a guardare il sole, da qualche parte sopra la coltre di cenere.
Cormac McCarthy
La strada
Einaudi
pagg. 218
€16,80
di Flavia Vadrucci