Lasciata da parte, ma solo per il momento, la musica, il “Guccio nazionale” si è dedicato nuovamente alla narrativa con il suo ultimo libro “
Non so che viso avesse” dopo l’esordio nel 1989 con “
Croniche Epafaniche“, pubblicato da Feltrinelli, a cui hanno fatto seguito altri due romanzi divenuti dei best-sellers: “
Vacca d’un cane” e “
Cittanova blues“, entrambi riguardanti i diversi periodi della sua esistenza. La stessa tematica autobiografica caratterizza questo suo ultimo romanzo che prende il titolo da una celebre frase di una delle canzoni più conosciute di Guccini “
La Locomotiva“. L’opera si presenta come un tentativo da parte dell’autore, di parlare di se stesso ma guardandosi da lontano: infatti, coerentemente al suo puro animo da taciturno montanaro, Guccini decide di fare un excursus della propria vita raccontandosi attraverso un personaggio speculare e utilizzando, come da sua tradizione, uno stile decisamente descrittivo ma non noioso. L’epopea ripercorre tutte le tappe dell’esistenza del cantautore cominciando dal mulino degli avi che viene descritto come il primo ricordo di sé e a cui associa immagini, persone, colori e profumi talmente vividi che sembrano evaporare dalle pagine del libro e inebriare i sensi del lettore. Quando nelle prime righe ricorda i sapori della sua infazia (“…
il coniglio arrosto cotto nello strutto sulla stufa economica, i funghi fritti, il prosciutto del maiale di casa affettato di coltello...”) dona l’illusione di gustare, almeno visivamente, le genuine specialità culinarie attraverso le quali il “
protagonista fanciullo” è diventato adulto. Infatti come per le sue canzoni, anche per i suoi libri Guccini possiede una singolare peculiarità: riesce a “fotografare” minuziosamente le immagini rendendo l’ascoltatore, o in questo caso il lettore, partecipe attivo delle sue storie. “
Non so che viso avesse” possiede la stessa evoluzione che caratterizza ogni vita, ogni esistenza: dai primissimi e puerili ricordi vissuti a Pavana, suo paese d’origine, agli aneddoti di gioventù ambientati fra Modena e Bologna dove la realtà raccontata è quella delle osterie, delle balere e dei primi tentativi di sbarcare il lunario prestando la propria collaborazione in un giornale locale. L’evoluzione fin ora raccontata rappresenta il filo d’Arianna che condurrà all’epilogo rincorso e anelato per tutta una vita: il concerto, luogo in cui si rende viscerale e intimo il rapporto con il proprio pubblico sia attraverso dinamiche puramente empatiche e alchemiche sia, perché no, bevendo una boccia di lambrusco sul palcoscenico (antica ritualità Gucciniana utilizzata forse per superare l’intrinseca timidezza?) Un’ opera che riflette la duplice identità di un grande cantautore: le radici umili della propria provenienza, a cui non ha mai pensato di rinunciare, e l’aspetto più palesemente conosciuto di celebre cantastorie. Tuttavia, in ultima analisi, dal racconto si evince che questa apparente dicotomia non può essere in alcun modo disgiunta: Francesco Guccini rappresenta oggi quello che è per il semplice fatto di essere figlio di quello che ha vissuto. “
Non so che viso avesse” è l’estremo tentativo di raccontarsi all’infuori di sé: estraniarsi cercando forse di essere più oggettivi, forse per vedere che effetto fa la propria vita indossata da altri.
Libro: “Non so che viso avesse”
Autore: Francesco Guccini
Editore: Mondadori
Anno: 2010
Prezzo: 18 euro
di Maria Elisabetta Filod’oro