Di loro non gli resterà nulla. Se non un ultimo sguardo, scambiato di sfuggita, quasi non vi fosse la morte ad attenderli. Raccolto da una giovane donna su un treno diretto al campo di Drancy, viene affidato ai servizi sociali. Cresce in una famiglia scelta dallo Stato, ma è costretto a pagarsi gli studi interamente da solo, visto che non vi è alcun certificato che attesti la morte dei suoi genitori e che, quindi, faccia di lui un orfano. Un orfano a tutti gli effetti. Colpa della burocrazia, il suo destino, da quel momento, è segnato. Riesce a conseguire la laurea in medicina, quindi la specializzazione in psichiatria e in psicoanalisi, finché, un bel giorno, la vita riprende a sorridergli, e non smetterà più di farlo. Merito della resilienza, dice lui, cioè della capacità, che ciascuno possiede, in modo e misura variabili, di crearsi una via di scampo. E di superare così i traumi che l’affliggono. Qualcosa di simile accade agli animali quando sopraggiunge un evento a scardinare le loro abituali certezze. Ecco che, allora, alle ignare creature spetta il compito di riorganizzarsi. E in fretta. Prima che le difficoltà abbiano la meglio. Tanto vale contare sulle proprie limitate risorse, trasformandole, inaspettatamente, in privilegi. Si chiama
strategia del brutto anatroccolo, e ad essa Cyrulnik ha dedicato un libro, dal titolo, appunto, “
I brutti anatroccoli” (Frassinelli, 2002).
Un’ipotesi confermata dalle moderne ricerche neuropsichiatriche. Non sono pochi i bambini traumatizzati, vittime di violenze o abusi, che reagiscono al male, facendo della propria vita un’impresa quasi eroica. Da brutti anatroccoli a cigni il passo è tutt’altro che breve però. Ma nel novanta per cento dei casi, sorprendentemente, riesce; a patto che intervengano alcune condizioni. In primo luogo, la presenza di un tutore, sorta di angelo custode, capace di redimere in positivo le tragicità della vita; per Cyrulnik fu la donna che lo salvò dai campi di concentramento. E poi, un rapporto felice con la propria madre, almeno da 0 a 12 mesi, a cui riattingere nei momenti di sconforto. Facile a dirsi.
L’ultimo libro dello psichiatra francese, “
Autobiographie d’un épouvantail” (Odile Jacob, 2008), in uscita in Italia per Raffaello Cortina, torna insistentemente sui soliti temi. Con una marcia in più. La possibilità di applicare il modello della resilienza alla politica e alle recenti trasformazioni della società. L’irresistibile forza della vita contro la crisi economica. Epopea della rinascita, raccontata da un uomo buono e carismatico. Cyrulnik seduce, certo. Ma il suo è un fascino arcaico, la cui origine sprofonda nella convinzione che dopo tutto,
i più bei fiori nascano dal fango. E gli esempi citati sono all’altezza: da Napoleone a Beethoven, passando per Manzoni, che soffrì a lungo di attacchi di panico, e il giovane Einstein, dislessico dalla nascita. Favola dello spaventapasseri che, per timore di essere respinto, finisce col tenere lontani gli altri. L’orrore inizia così. Da un equivoco.
Il libro è valso a Cyrulnik, nel 2008, il prestigioso premio Renaudot per la categoria Saggi.
di Michela Carrara