In Afghanistan esistono tanti bambini, ma non esiste più l’infanzia
“Sono diventato la persona che sono oggi all’età di dodici anni, in una gelida giornata invernale del 1975. Ricordo il momento preciso: ero accovacciato dietro un muro di argilla mezzo diroccato e sbirciavo di nascosto nel vicolo lungo il torrente ghiacciato. E’ stato tanto tempo fa. Ma non è vero, come dicono molti, che si può seppellire il passato. Il passato si aggrappa con i suoi artigli al presente. Sono ventisei anni che sbircio di nascosto in quel vicolo deserto. Oggi me ne rendo conto.”
Queste le parole con le quali Amir ricorda il suo passato e il suo presente in un Afghanistan martoriato dalla guerra e dalle divisioni interne. Amir è divorato dalla sua colpa: non aver difeso il suo amico/servo Hassan. Ritorna in Afghanistan per riparare al suo errore. Il suo viaggio è, quindi, un riscatto, un’espiazione del suo peccato. Durante il ritorno i rimorsi e i fantasmi del passato riaffiorano. Ormai la sua terra non gli appartiene e gli anni di guerra e dei Talebani hanno reso quella terra meravigliosa una terra brutta e piena di relitti umani. Il gioco, di cui era appassionato, cioè la caccia degli acquiloni rimane l’unico ricordo positivo e sarà l’unica arma con la quale riuscirà a conquistare il nipote Sohrab.
Khaled Hossein
È nato a Kabul nel 1965. Laureato in Medicina all’Università di San Diegom nel 2003 ha scritto il suo primo romanzo, Il cacciatore di acquiloni (Piemme, 2004), diventando un eccezzionale caso editoriale e ora anche un film molto amato dal pubblico. Recentemente, l’autore è tornato in Afganistan come inviato per l’UNHCR, l’agenzia delle Nazioni Unite per i rifugiati.
Titolo: Il cacciatore di aquiloni
Autore: Khaled Hosseini, traduzione di Isabella Vaj.
Casa editrice: Edizioni Piemme, 2004,
Pagine: pp. 394, cap. 25.
Prezzo: 17,50€
di Rosanna Angiulli