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Quel treno fantasma che porta all'inferno

Il binario morto per Ostiglia-Treviso torna a disseminare morti, panico e terrore nel romanzo breve di Mirko Rizzotto, in arte Kurt Keaton

La casa editrice Runde Taarn produce e distribuisce un romanzo horror contemporaneo che sembra attingere a piene mani dall’universo letterario gotico di scrittori come Lovecraft e Le Fanu.

Scritto da Mirko Rizzotto, che per le sue produzioni letterarie preferisce farsi chiamare Kurt Keaton (forse perché un nome straniero, per la tipologia di romanzi che realizza, avrebbe sicuramente un impatto notevole sul lettore medio N.d.R.), Ghost Train racconta la storia di un treno che ha disseminato negli anni fin troppe vittime (misteriosamente scomparse)… per essere un treno soppresso moltissimi anni prima, e di un misterioso detective venuto dal passato, un certo padre Gaius, dai modi poco ortodossi e dal passato incerto ed inquietante, che decide di mettersi sulle sue tracce alla ricerca di una verità, definitiva anche se non necessariamente plausibile.

La trama di questo racconto è senz’alcun dubbio avvincente, poiché riesce a canalizzare l’attenzione dello spettatore fino alla fine. La parte narrativa scorre con facilità, a scapito, però, di una parte dialogata – che poi è la più ampia del testo – decisamente poco fruibile, ricca (carica) di costrutti in disuso per l’epoca della narrazione (gli anni 80/90 del secolo scorso) e, soprattutto, informali (e quindi piuttosto improbabili) persino quando l’azione si svolge tra i più giovani. Forse lo scrittore è troppo abituato a tradurre romanzi gotici appartenenti al passato per riuscire a trovare uno stile personale?

Il pregio di un eccellente romanzo del terrore (ma questo, spesso, vale anche per il cinema e le altre arti performative) è la plausibilità: in questo romanzo, invece, non c’è nulla che possa definirsi “plausibile”. Non è plausibile che una città che non crede nei demoni cambi all’improvviso la sua opinione perché a chiedere fiducia sia un vecchio curato di campagna venuto da “Dio solo sa dove” (e mai come in questo caso ci fu formula più opportuna di questa N.d.R.); non è plausibile che il frate in questione, in preda alla disperazione, racconti il suo misterioso passato (molto passato) ad una quasi sconosciuta che non solo si affida alle sue parole ma decide di crederlo così, sulla fiducia, senza concedersi il minimo beneficio del dubbio; non è plausibile, infine, che una tragedia di tali dimensioni possa risolversi nella più banale delle (ri)soluzioni.

Di Luna Saracino