Dopo “Gli innamoramenti” arriva anche in Italia l’ultimo attesissimo libro di Javier Marías, eletto dai critici letterari di Babelia, l’inserto culturale de El País, come miglior libro del 2014
Una storia avvincente che parla del rancore e del perdono, del desiderio e dei fantasmi del passato, delle conseguenze delle dicerie e della arbitrarietà della giustizia.
Ambientato nella Madrid del 1980, in piena Transizione dopo la caduta del Franchismo, “Così ha inizio il male” (Einaudi) racconta la storia di Eduardo Muriel, un tempo regista cinematografico di successo, e di sua moglie Beatriz Noguera, di cui è testimone il giovane Juan de Vere – voce narrante della storia – che, assunto da Muriel come segretario personale, ha l’opportunità di entrare nell’intimità della casa familiare ed assistere in prima persona alla misteriosa rovina di un matrimonio. In un’epoca in cui il divorzio non è ancora stato approvato, Juan è testimone della farsa di una vita in comune, del declino di Muriel e della perdita di equilibrio di Beatriz, che soffre tremendamente il disprezzo e il rifiuto del marito. All’origine di tutto ciò – forse – la verità e le sue trappole, il segreto e la sua rivelazione: sapere e raccontare; sapere e tacere. Muriel ha saputo quello che non avrebbe voluto conoscere e sua moglie Beatriz rimpiangerà fino alla (vicina) morte di avere rivelato, in un accesso di rabbia, un antico segreto. Questo sarà il motore che riempirà di amarezza la vita della donna e in gran parte anche quella di suo marito; sarà però anche l’esperienza di cui saprà far tesoro Juan, la cui vita ha diabolicamente riprodotto le condizioni dell’esistenza di Muriel e Beatriz, senza tuttavia i loro errori e dolori: Juan, infatti, ha saputo tacere.
Lo sviluppo della trama prende spunto da un fatto contingente: Muriel incarica il giovane Juan di indagare su un antico amico, il dottor Jorge Van Vechten, misterioso pediatra che ha fatto fortuna nel dopoguerra e sul cui indecente comportamento nel passato gli sono arrivate varie voci. Juan, però, non si limiterà solo a questo, ma si farà promotore di dubbie iniziative, perché come lui stesso riconoscerà in età matura, «i giovani hanno l’anima e la coscienza sospese»: scoprirà quindi che non c’è giustizia disinteressata, ma al contrario sempre in qualche modo contaminata dal rancore personale e dai propri desideri e che ogni perdono o castigo sono arbitrari.
Succede lo stesso con i segreti del passato collettivo?
La domanda sembra essere legittima, perché la storia personale dei protagonisti si confonde con la storia della Spagna, la disgrazia di una donna con la disgrazia di un Paese intero: la vicenda esistenziale di Muriel e Beatriz sembra solo un punto di vista privato per una messa a fuoco collettiva di un Paese che, uscito dalla dittatura, vede la repentina e quasi miracolosa trasformazione di molte biografie, un tempo legate al franchismo, poi di colpo orgogliosamente e prestigiosamente antifranchiste: medici, avvocati, architetti, professori, tutti con nuove immacolate identità, verginità costruite sulla menzogna.
La novella svela infatti non pochi inganni, verità omesse e falsità consentite che furono parte integrante della Transizione alla democrazia. Però non tutti i segreti furono uguali né tutti agirono come quel medico che attribuisce al racconto una dimensione tragica e maledetta che a tratti turba il lettore.
Sullo sfondo, resta in ogni caso il dubbio (che pervade tutto il racconto) circa la convenienza o meno di perdonare ed essere perdonati, di voltare pagina, dimenticare quanto di brutto è accaduto nel passato per porre le basi della costruzione di una rinnovata, armonica convivenza.
Senza false ipocrisie, nella conferenza stampa di presentazione del romanzo, Javier Marías ha dichiarato di non avere idee chiare al riguardo, di non sapere se i crimini più odiosi e vili commessi dalla collettività meritino di rimanere silenziati: «è un interrogativo morale che mi inquieta. Quanti nazisti furono condannati dopo la Seconda Guerra mondiale? Solo pochi gerarchi. Alla popolazione, a quelli che in molte occasioni collaborarono attivamente con il regime nessuno ha fatto pagare i conti, e forse va bene che sia così», sebbene – precisa lo scrittore – «una cosa è la giustizia e un’altra la necessità di sapere, il racconto, la testimonianza di quanto accaduto». «Nella novella si parla di una giustizia che si spaventa o si inibisce davanti alla “quantità”, il che significa che quanto più grande, voluminoso, è il crimine, tanto maggiori sono le possibilità di impunità; il passato non chiuso risveglia in noi il rancore, che funziona come un motore, un incentivo: qualcosa a cui risulta molto difficile rinunciare».
Così ha inizio il male è una storia appassionata e avvincente, che nella prima metà può risultare non di troppo agevole lettura, data l’apparente “staticità” della narrazione intessuta dalle non poche riflessioni filosofico-etimologiche cui spesso Marías ci ha abituato. Superato quest’ostacolo, però, il ritmo della narrazione si fa più vivace e trepidante, risultando anche più chiare la trama e le tematiche affrontate: la spirale paralizzante della verità e della giustizia, la verità travisata da interessi spuri, la verità nascosta per motivi legittimi, la verità semplice che produce effetti ingiusti, la verità che vuol proteggere, la verità avventata. E il rancore che si scatena per non aver saputo prima.
Un romanzo che – come spesso accade per i libri di Marías – prendendo in prestito per il titolo un verso di Shakespeare (questa volta tratto dall’Amleto: «Thus bad begins / and worse remains behind»), sfida l’ardore giovanile per la verità a tutti i costi, per rimuginare episodi che meritano di restare nell’oblio, come accade quando portarli alla luce significa scatenare la vendetta o il risentimento.
di Rosa Maria Geraci
Javier Marías
Così ha inizio il male
Einaudi
pp. 464
€21,00