Perché leggiamo?
La risposta non è scontata: leggiamo, a volte, per distrarci, rallegrarci o commuoverci. Altre volte leggiamo per sentire che non siamo soli, che quello che accade a un’altra persona, per quanto immaginaria, ci riguarda. Altre volte, quindi, leggiamo per essere più umani.
“Il peso della farfalla”, pubblicato nel 2009 da Feltrinelli, è il suo best seller assoluto, che lo ha reso noto al grande pubblico e addirittura ha stregato Hollywood, che ne starebbe preparando la versione per il cinema.
La vicenda, in soldoni, potrebbe essere quella di una banale battuta di caccia, ma nelle mani di De Luca si trasforma in un duello definitivo, esistenziale, un “Moby Dick tra le Alpi”, come è stato giustamente definito.
I due protagonisti, in effetti, sono dei giganti: due personaggi grandi, e soli. Il re dei camosci, è un esemplare magnifico che nessuno ha mai cacciato. E’ il capo assoluto, coraggioso, saggio, che nell’ultimo autunno della sua vita avverte la stanchezza, vede già chi prenderà il suo posto, vede già il mondo dopo di lui.
Densa, più che mai, è la forma: netta, essenziale, frutto di un lavoro di riduzione all’estremo, per far restare sulla pagina quello che veramente conta. In frasi brevi, taglienti, la parola apre un mondo, fa respirare l’aria pura di vette che non spesso non tocchiamo, costretti come siamo a restare a valle, nella banalità degli affanni quotidiani.
La scrittura di De Luca, anche quando si fa prosa, è essenzialmente poetica, per il modo in cui sa cogliere significati esistenziali profondissimi anche in gesti ordinari come una stretta di mano tra un uomo e una donna, o un appostamento di caccia. Ma soprattutto, per la nitidezza con cui riesce a rivelare la natura profonda dell’essere umano, nella coesistenza irriducibile di grandezza e miseria.
di Angelina Di Fronzo