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Venezia Cinema 2010: intervista a Sophia Coppola

Sophia_Coppola_-_slideDa Lost in traslation a Somewhere… Dopo aver conquistato il Festival nel 2003, la regista newyorkese torna al Lido nella sezione Concorso

Il Festival di Venezia è stato il primo palcoscenico internazionale e riconoscere il suo talento artistico (Lost in Traslation, 2003), ma è grazie alla così detta trilogia della gioventù inquieta (Il giardino delle vergini suicide, Lost in Traslation, Marie Antoniette) che le è stato assegnato un posto d’onore tra i giovani registi americani.

Prima donna ad ottenere una nomination agli Oscar per il suo lavoro dietro la macchina da presa, Sophia Coppola proviene da una famiglia dove il sacro fuoco dell’arte sembra tramandarsi geneticamente. Figlia del quattro volte Premio Oscar Francis Ford Coppola e cugina di Nicholas Cage, frequenta il cinema come protagonista fin dall’infanzia. Ad appena un anno “entra” nel cast de Il Padrino, mentre nel 1990 interpreta Mary nel terzo capitolo della saga dei Corleone. Criticata per le sue poche doti interpretative, Sophia decide di cambiare prospettiva e di passare dietro la macchina da presa per raccontare le sue storie di donne fragili, inquiete ed estremamente deduttive. A sette anni dalla sua prima esperienza veneziana, la Coppola torna al Lido per affrontare la sfida de il Concorso con una nuovo percorso sentimentale narrato da Johnny Marco (Stephen Dorff) star del cinema americano che vive nel leggendario Chateau Marmont Hote, e la figlia undicenne Cleo (Elle Fanning). Che dietro questa storia ci sia una vaga ispirazione personale? Il film viene distribuito da Medusa con 250 copie dal 3 settembre:

In Somewhere Stephen Dorff è una star del cinema americano che sta vivendo un momento di transizione professionale. In questo stato di attesa e solitudine avviene l’incontro con la giovane figlia Cloe: Lentamente i due cominciano a trovare un’intesa passando del tempo insieme. Questa tematica ti è stata ispirata in qualche modo dal rapporto con tuo padre?

“Assolutamente si. Ci sono dei momenti che ricordano alcuni delle prime esperienze con mio padre. In modo particolare la scena in cui Johnny porta Cloe al casinò e gli insegna come giocare mi ha ricordato una delle mie prime uscite mondane in compagnia di mio padre. Era tutto incredibilmente emozionante, entravo per la prima volta in contatto con il mondo degli adulti.”

Dopo la nascita della tua bambina hai realizzato questo film dalle forti tematiche familiari. La maternità quanto ha cambiato la tua vita, credi che un figlio possa veramente salvare l’esistenza di un uomo o di una donna?

“Con questo film volevo esplorare l’impatto che un rapporto così intenso può avere su un persona dalle profonde difficoltà esistenziali. Se ci soffermiamo ad osservare la vita di Johnny scopriamo, oltre il clamore della sua fama, di un uomo estremamente solo e profondamente impigrito. Cloe arriva nella sua vita come un risveglio, lo riconduce alla percezione della vita e dei sentimenti. Vista da questa ottica posso dire con assoluta certezza che la venuta di un figlio trasforma profondamente le prospettive, le visioni e le priorità di tutta una vita.”

Il film è interamente ambientato in una Los Angeles un po’ inedita. Lontana dai modelli che la vogliono come centro rutilante del cinema e dello show business, in continuo movimento verso l’affannoso raggiungimento della fama, ci proponi una ambientazione fredda e poco riconoscibile. Da cosa dipende questa scelta?

“Questo squallore ambientale doveva accentuare ancora di più il senso di solitudine vissuto da Johnny. La storia è inquadrata totalmente dal suo punto di vista e l’ambiente doveva suggerire ulteriormente la sensazione di isolamento. E poi non credete, Los Angeles è veramente una città molto spigolosa.”

All’interpretazione di Stephen Dorff ha contrapposto quella della giovanissima Elle Fanning. Insieme sembrano formare un team perfettamente accordato su questa dualità padre/figlia. Qual è stato il compito di Elle nella gestione di questo rapporto d’amore conflittuale?

“Sostanzialmente la storia è concentrata quasi esclusivamente sulla vita di Johnny. Cloe arriva improvvisamente e rappresenta una presa di coscienza della vita adulta. Attraverso di lei volevo mostrare cosa vuol dire essere figlia di due personaggi così intensamente presi da loro stessi. Fin da piccola Cloe si trova nel mezzo del loro rapporto, coinvolta in una eterna peregrinazione tra la casa della madre e la stanza d’albergo dove vive il padre. L’amore che nutre per entrambi la spingerà nel mezzo di questo rapporto a sostenere il peso della sua solitudine.”

In Italia si è molto parlato di questo film per l’utilizzo di alcune personalità dello show business locali come Valeria Marini e per il ritratto poco edificante della nostra televisione. Qual è la sua riflessione sull’Italia da questo punto di vista?

“Amo e rispetto profondamente la cultura italiana e non potrei pensarne nulla di negativo. Gli estremi di cui vive il mondo dello spettacolo sono gli stessi in tutto il mondo. Fa parte del costume, quasi di una consuetudine.”

 

di Tiziana Morganti

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