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Ricordi e suggestioni di un regista di guerra

Danis_TanovicDanis Tanovic ed il suo Triage aprono ufficialmente la quarta edizione del Festival di Roma

Dopo aver collezionato premi e riconoscimento con il film No Man’s Land, il premio Oscar Danis Tanovic torna dietro la macchina da presa per raccontare un’altra storia di guerra.

Tratto dall’omonimo romanzo del ex corrispondente Scott Anderson, testimone dei conflitti in Bosnia, Cecenia, Beirut ed Uganda, Triage sonda i tormenti della coscienza umana appesantita dagli  orrori dello sterminio e dalla responsabilità di una sopravvivenza del tutto casuale e fortuita. Mark è un fotoreporter di guerra, dopo una sofferta e drammatica spedizione in Kurdistan, torna a casa senza l’amico e collega David. Ben presto i ricordi, fino a quel momento negati, ed il peso di una verità ormai insostenibile porteranno Mark a soffrire fisicamente e moralmente per la sua sorte di prescelto alla vita.  Presentato alla quarta edizione del Festival di Roma, il film apre la kermesse della capitale con una prova interessante di Colin Farrel  affiancato da Paz Vega.

Dopo il successo di No Man’s Land aveva dichiarato che per un po’ di tempo non sarebbe tornato ad una storia di guerra. Cosa le ha fatto cambiare idea?
“ Ho vissuto un momento di disorientamento e stanchezza. Il film ha girato molto, ha ottenuto numerosi premi e riconoscimenti ed io mi sono trovato a ripetere per mille volte le stesse cose, a conoscere le risposte ancor prima che i giornalisti facessero le domande e a cercare sempre un modo diverso per esprimere i miei pensieri. A quel punto ho sentito il bisogno di riposare ed allontanarmi. Inoltre non si può raccontare un film di guerra senza andare sui luoghi interessati ad osservare le ferite lasciate dal conflitto. Sensazioni e sofferenze che possono riportare a galla stati d’animo e ricordi personali non piacevoli. Non è semplice confrontarsi con le memorie di altri che hanno la forza di riportare le tue a nuova vita. Poi è arrivato il romanzo di Scott Anderson e sono rimasto conquistato. E credetemi quando dico che il libro è sicuramente più bello del mio film. E’ qualche cosa che proprio non si può evitare. Fare un film è sicuramente più semplice, dura di meno e si deve essere selettivi e sintetici. Invece il romanzo di Anderson è così complesso che si potevano ricavare cinque storie diverse.”

Una parte molto ampia del film, praticamente tutta la seconda parte, è dedicata alla figura dello psicologo interpretato da Christopher Lee. Come mai ha deciso di dare tanto “respiro” a questo personaggio?
“ Nel romanzo la parte dedicata a lui era ancora più imponente. Comunque il personaggio di Lee rappresenta la razionalità, l’importanza di parlare, di condividere una esperienza negativa o traumatica. Ma dopo aver spiegato ciò che è successo è importante filtrare tutto attraverso l’amore. Credo che sia questo l’unico modo per guarire e trovare la pace.”

Il suo protagonista, Mark, è un fotoreporter di guerra per cui l’obiettivo è una sorta di filtro che lo separa dalla realtà circostante nel momento stesso  in cui scatta una foto. Si può dire che altrettanto accade utilizzando una macchina da presa ?
“Prima di realizzare questo film sono andato a riprendere alcuni filmati che avevo realizzato durante la guerra in Bosnia ed ho percepito un chiaro senso di follia tanto da gettarli. Il fotografo e l’operatore di guerra non percepiscono mai il pericolo effettivo della situazione in cui si trovano. Per portare a termine il proprio lavoro debbono inevitabilmente esporsi, ma nell’attimo di uno scatto o di una ripresa non pensa di rischiare la propria vita. In qualche modo ti senti come Dio, quindi diventi automaticamente più vulnerabile. Io studiavo tecniche cinematografiche ancor prima dell’inizio del conflitto nel mio paese, perciò quando la guerra è scoppiata ho scelto volontariamente il mio ruolo di narratore visivo. La guerra, da questo punto di vista, non ha intaccato la mia individualità.”

Lei ha vissuto per molto tempo a Parigi, ma da due anni è tornato a Sarjevo.  Com’è stato adattarsi nuovamente alla realtà del sua terra  d’origine, ha trovato dei cambiamenti dalla fine della guerra?
“ Sono tornato a Sarajevo a causa di mia madre, ma in realtà è stata un’ottima decisione. In fondo questa città rappresenta la mia vita, la mia lingua e la mia gente. Certo, mi sarebbe piaciuto nascere in un luogo come Manhattan, ma non è successo. La situazione in questo momento è profondamente critica. Se tutta l’Europa risente della recessione gli effetti in Bosnia sono ancora più devastanti. In realtà l’organizzazione europea, insomma la cosi detta Europa Unita della cui efficacia non credo, non sa cosa fare di un paese come la Bosnia. La vede più che altro come una specie di esperimento e continua a non fare nulla. Lascia che i nazionalisti continuino ad avere campo libero ed in questi quindici anni nella pratica non è cambiato proprio nulla. Le stesse persone che hanno iniziato la guerra sono ancora là.”

di Tiziana Morganti