Naturalizzare i fatti sociali non è quasi mai una buona idea
Walter Siti è uno scrittore carnale. Per l’ultimo romanzo edito da Rizzoli citerei l’affermazione del critico letterario ottocentesco Francesco De Sanctis riguardo L’Assomoir di Zolà: Resistere non serve a niente è «una evoluzione a rovescio, dall’uomo all’animale, dall’ideale umano […]sino all’idiotismo, alla intelligenza cristallizzata, all’essere morale demolito, all’essere fisico incadaverito»(Conferenza tenuta al “Circolo filologico” di Napoli il 15 giugno 1879). E ancora calzante al fine di parlare di Siti scrittore è la visione che sempre De Sanctis aveva di Zola scrittore: il critico diceva che come un professore di anatomia analizza cadaveri per mostrarne le patologie, così lo scrittore s’immergeva nella società randagia per analizzarla e mostrarne le “patologie” appunto. Lo stesso sembra fare Walter Siti con la sua scrittura. Comunque non si vuol fare una recensione all’ultimo libro del Nostro quindi proponiamo delle considerazioni dello stesso scrittore che abbiamo cercato di carpirgli. Dovrei pensare a qualche domanda da rivolgergli, così comincio a leggere il suo nuovo romanzo e il titolo “Resistere non serve a niente”, nella paranoia dell’attualità politico sociale che stiamo vivendo non so se doverlo interpretare come un messaggio che lo scrittore vuole rivolgere al lettore, o semplicemente come il titolo di una storia che Siti racconta, appunto sul notes questa cosa temendo anche la risposta:
«Il titolo è interno alla storia, è adeguato (spero) alla storia che racconto, non ha nessuna pretesa prescrittiva. Quando Flaubert intitola un suo libro L’éducation sentimentale, non pensa che ogni educazione sentimentale debba essere come quella che lui descrive. E’ ovvio che resistere serve molte volte, bisogna vedere a che cosa si resiste; la cosa a cui oggi principalmente mi pare che si debba resistere, è alle interpretazioni superficiali e consolatorie del mondo».
La prima scena del libro è molto forte, sembra quasi la fotografia di un momento particolare a cui Siti abbia assistito:
«La scena iniziale in corsivo ha la funzione di una ‘scena primaria’: come si chiarisce in seguito, è la prova di fedeltà a cui l’organizzazione sottopone il padre di Tommaso; ma è anche il fantasma che ossessiona Tommaso per tutta la vita. Più cerca di allontanarsene, sfruttando la propria intelligenza, più fatalmente finisce per ricongiungersi con quella scena, fino al grido finale “fatemi assistere”. C’è ovviamente un ricordo sotterraneo a miniaturizzato dell’Edipo re».
A proposito del personaggio principale di “Resistere”, Tommaso, sembra trovarsi difronte una summa di vite che si scontrano con gli eventi attuali: è una figura complessa:
« Come nei romanzi settecenteschi, il mio protagonista è uno ‘spostato’ socialmente che attraversa la società a lui contemporanea, dandoci l’occasione di vederla nei suoi diversi strati. Portando però con sé uno stigma originario che è la bulimia, trasposta dal fisico allo spirituale. A forza di desiderare tutto, finisce per desiderare l’infamia (continuando a considerarsi un povero ragazzo frustrato che deve cavarsela da solo)».
Continuando a leggere il romanzo Walter Siti, che in “Troppi Paradisi” e in “Scuola di nudo”(ne cito solo alcuni per questioni di spazio e tempo) appare, o meglio è il personaggio stesso della storia, qui diventa il personaggio scrittore che racconta però un’altra storia, la storia di Tommaso appunto:
«Naturalmente ho prestato a Tommaso molte mie caratteristiche e alcune mie esperienze, per esempio nel campo sentimentale. Tommaso forse ha prestato a me un po’ della sua giovinezza e della sua faccia tosta, un sogno di ricchezza che mi affascina e che non ho mai conosciuto».
È evidente che pagina dopo pagina il mondo descritto è quello che vive e regna nell’illegalità. Il problema è che oggi viviamo in una situazione sociale in cui una partita a poker tra amici è illegale, da considerarsi un vero e proprio crimine; al contrario sale scommesse, poker on line ecc. dove gente comune si gioca il proprio stipendio nell’arco di un paio di giorni, sono legali perché gli organi governativi arrivano a riscuotere, in alcuni casi, anche l’85 % delle giocate:
«Legalità è un concetto legato alla convivenza e all’autorità; spesso l’eccesso di leggi, magari contraddittorie, mostra la crisi dell’autorità e favorisce l’infrazione; molte operazioni finanziarie in grande stile giocano sulle diversità di legislazione tra i vari Stati: in nessuno di essi sono strettamente illegali, ma sarebbero illegali se le considerassimo nel loro complesso. Se sia lecito ribellarsi a leggi ingiuste è un problema che ha duemila anni di storia; dotarsi di un sistema semplice e ordinato di leggi preserverebbe la comunità dalla falsa idea che l’illegalità possa essere una scorciatoia necessaria».
Ad uno scrittore come Siti non posso non chiedergli, per quanto banale appaia, come vive l’attualità:
«Fino a qualche anno fa non leggevo i giornali, temevo che leggendoli potessi smettere di avere delle idee per avere soltanto opinioni; da un po’ di tempo ho ripreso a leggerli e a interessarmi all’attualità, perché ho l’impressione che ci sia un’osmosi sempre più forte tra le nostre impercettibili mutazioni psicologiche e l’ambiente sempre più invasivo che ci martella. Ritirarsi in solitudine, oltre che sempre più difficile, sta diventando anche meno nutriente dal punto di vista intellettuale».
E poi penso alla pubblicità sui parassiti sociali che fanno girare per televisione ancora oggi. Penso al fatto che quei parassiti in fin dei conti sono i poveracci piccoli imprenditori o comunque commercianti che spesso arrivano con difficoltà a fine mese, e magari si permettono di “rubare” ai Governanti di turno (lo Stato siamo noi quindi non ritengo opportuno usare il termine al fine di indicare i governi italiani vari…) un 0.70 cent. perché non hanno battuto uno scontrino, ignari in un certo senso dei mila o milioni di euro di cui si appropriano illegalmente i Punitori. Insomma sono curioso della reazione di Walter Siti a quella sciocca pubblicità:
«In realtà le immagini che comparivano in video mi facevano così schifo che non sono quasi mai arrivato alla fine dello spot, facevo zapping prima; la faccetta dell’evasore umiliato l’ho vista poche volte, e in confronto con le immagini precedenti sembrava quasi caruccio. Naturalizzare i fatti sociali non è quasi mai una buona idea».
All’ultima pagina di “Resistere non serve a niente” l’intervista con l’autore già è conclusa.
Di Gabriele Iarusso