Una trascinante produzione tedesca, un’eccentrica satira del potere che si incastra nel melò storico, interpretata da un protagonista gigantesco
Un cabarettista egocentrico legge le stelle a Stalin, che ubriaco oltre i confini della vodka ascolta attento sul water del suo lussuoso bagno. Mentre un interprete condannato già a morte attende la fine nella vasca. Scena deliziosa e crudele che vale un intero, imperfetto film. Hotel Lux, diretto da un tagliente Leander Haussmann, accolto a suon di applausi e risa scroscianti alla proiezione stampa di ieri, è una delle più surreali pellicole in concorso in questa eterogenea e affollatissima VI edizione del Festival. Una divertita commedia degli equivoci, una matematica mitragliatrice di battute e allusioni, che per ammissione dello stesso regista incamera la lezione impeccabile del maestro Ernst Lubitsch (Ninotchka, 1939). Ma Hotel Lux cerca con ambizione il colpaccio fondendo con risultati alterni, il ritmo della farsa paradossale, denuncia (fanta)politica attualizzata, tracce melò e rielaborazioni storiche. Una tragicomica invenzione che prende spunto dall’hotel del titolo, famoso quanto decadente edificio della Mosca staliniana in cui si accatastavano transfughi europei comunisti e futuri leader del Comintern e della Germania dell’Est da venire. E’ il 1938, la censura del regime chiude il cerchio. Il duo Hans Zeisig (l’incredibile Michael Bully Herbig, mattatore indiscusso) e Siegfried Meyer (il mimetico Jürgen Vogel) furoreggia sul palco di un cabaret con lo “Stalin-Hitler-show”, gustoso sketch musicale sulla grande amicizia tra i due despoti. Ma Siegfried abbandona l’amico per darsi alla clandestinità come militante comunista insieme alla misteriosa e bellissima “compagna” Frida (la luminosa e simpatica Thekla Reuten), della quale Hans, dal canto suo, si innamora a prima (s)vista. Solo, disilluso e pragmatico, Hans continua a cantare sul palco finché uno spettacolo fuori programma gli mette contro la Gestapo. Così scappa anche lui, aiutato dallo sfortunato truccatore gay del cabaret, ma con il passaporto sbagliato e un nuovo nome che gli cambierà i connotati e non solo. Arrivato a Mosca, nel grigio e lercio Hotel Lux, dove ritrova la fulgida Frida sotto mentite spoglie, Hans non si confonde tra i brulicanti comunisti. Dopo interrogatori esilaranti e un enorme intrigo tra gelosi militari nani e servizi segreti sbrodoloni, Hans diventa il prezioso astrologo personale di Stalin e si abitua a lunghi e assurdi colloqui da bagno. Un onirico equilibrio rotto dall’ennesimo colpo di scena. Un fiume di situazioni improbabili e di battute messe a segno con ferocia e leggerezza rendono la pellicola una tumultuosa concatenazione, una macchina comica ben oliata, sostenuta dalla falcata di attori eccellenti, che deraglia tuttavia sul piano concettuale. Il regista sovrappone ma non amalgama tre grandi temi: l’individualità travolta dal magma storico e da responsabilità oltraggiose; il conflitto identitario forzato e la libertà d’espressione; le connivenze e le divergenze col Potere, a sua volta ulteriore protagonista, nella doppia grottesca figura del dittatore, fuhrer tedesco e sovietico. La trovata ironica del capovolgimento ambiguo e la caricatura come motore/alveo della storia è smorzata dalle componenti drammatiche irrisolte (le purghe tiranniche, il silenzio della popolazione tedesca, i terrori staliniani trasformati in omicidi senza sosta). La pungente parabola dell’egoista Hans e la sua involontaria, significativa sfida ai sistemi di controllo ottusi, emerge simultaneamente ad una denuncia aspra contro l’Urss e la Germania nazista che non prende però del tutto corpo. Come si è lasciato sfuggire il conferenza stampa, Haussmann ha cercato anche una sottile vendetta contro le restrizioni della DDR, sotto la quale è vissuto da ribelle, incarnandone i difetti nell’immagine flaccida e traditrice di Stalin. La deviazione dagli ideali promessi è uno dei nodi portanti del film, annacquato in corso d’opera dalle troppe sottotracce. Un film che poteva diventare commedia iconoclasta fino in fondo, ma che resta garbatamente su più binari, come Hans, amabile codardo. Da assaporare con calma la riesumazione finale del duo Hans-Siegfried, una follia che riscatta le debolezze, una magistrale interpretazione, da cabaret.
TITOLO E INFORMAZIONI
Hotel Lux (Selezione Ufficiale/Concorso)
Regia di Lenard Haussmann
Con Michael Bully Herbig, Jürgen Vogel, Thekla Reuten
Ger, 2011
di Sarah Panatta