Il mondo del lavoro in un universo altro apocalittico
Che cos’è diventato oggi il mondo del lavoro? Che scenari si aprono e si prospettano? Quale futuro ci attende? Cosa significa avere un lavoro? Cosa si è disposti a fare per mantenerlo od ottenerlo? Lavorare vuol dire essere liberi? C’è la meritocrazia? Quali sono gli strumenti di lotta alla concorrenza ammissibili? Quale è il confine tra lecito e non? Il lavoro diventa un bene prezioso come l’acqua, vitale, nel film “Tripalium” di Antares Bassis e Sophie Hiet, che indaga tutte queste problematiche. In Concorso alla nona edizione del Roma Fiction Fest. Una produzione francese che si permette, nell’originalità della sceneggiatura, il lusso di una provocazione: il Sud è l’unico posto in cui si è felici e si trova lavoro. Il pregio del film è che ha una coscienza politica e sociale importanti, è un piccolo oggetto d’élite che parte subito col piede sull’acceleratore, facendo quasi una denuncia. La disoccupazione nel XXI secolo, in un non luogo inserito in una dimensione sospesa che è ovunque e altrove, è salita all’80%. E il Primo Ministro mette in atto una misura politica forte di impiego solidale. Suo marito, il ministro del Lavoro Monroe Moretti, è stato sequestrato. Si apre così uno scenario rivoluzionario, poiché c’è il rischio di una bancarotta mondiale. Non è però la sola provocazione. Prima di cominciare con il susseguirsi degli eventi, infatti, si puntualizza qual è l’origine del termine lavoro e del sostantivo francese travail: il nome latino trepalium, che era però anche uno strumento di tortura. Allora lavorare significa soffrire o semplicemente ciò enfatizza la fatica di trovarne e mantenerne uno?
L’innovazione continua con uno stratagemma che segue la potente innovazione tecnologica che c’è stata nell’era del digitale. Quasi astronavi spaziali alienanti, nei centri di lavoro in luogo dei badge ci sono microchip identificativi che ne permettono l’accesso, con codici tatuati sul polso, quasi i dipendenti fossero meri numeri od oggetti che si posseggono, che devono solamente obbedire. Al posto delle navette ci sono autobus solidali che conducono in città dove si lavora, ma dove non si può stanziare. Isolate, sono un vero e proprio ghetto emarginato ed emarginante, più che privilegiato, non oasi di felicità. In questo il richiamo alla seconda guerra mondiale e ai lager, alla deportazione e discriminazione degli ebrei, è evidente. Si vuole parlare, infatti, di lavoro, ma anche di razzismo, discriminazione, terrorismo all’epoca dello spionaggio informatico e industriale, e della scalata ad ogni costo ai centri di potere, con ogni mezzo anche il più brutale, dove la meritocrazia è una chimera e i favori di convenienza regolano i rapporti in cui il fare carriera deriva spesso da una protezione forte alle spalle. Non c’è integrazione sociale, sebbene indispensabile, perché c’è chi soffre la fame e la sete e chi vive nell’agio. I bimbi giocano con bambole robotizzate e computerizzate che, tuttavia, nascondono un briciolo di umanità invitando a non farsi scoraggiare dalla difficoltà. Nell’ordine e nel rigore inanimato e anonimo che regna, si respira forte il senso di disperazione. Uno scenario apocalittico di un mondo diviso a metà da un muro che divide la città dalla Zona, dove vivono i disgraziati disoccupati, quasi carne da mandare al macello. Il solco tra i due mondi sembra un vuoto incolmabile. O forse no.
Qualcosa li porta ad incontrarsi. Così uguali e così diversi. Sembrano opposti eppure l’aiuto potrebbe venire dagli ultimi. Riuscirà Izia, la mamma del piccolo Noah, che sogna col figlio di trasferirsi al Sud, a trasformarsi in infiltrata sotto mentite spoglie dopo essere riuscita a farsi assumere come lavoratrice solidale? Se si manipolano menti, se è all’ordine del giorno lottare per il proprio posto di lavoro, ben attenti alle insidie di spie e talpe, si prende consapevolezza che occorre lavorare insieme per cambiare le cose. Tutti vittime di un sistema deviato. Tra tradimenti e nuove alleanze, il rischio si fa sempre più alto e la tensione aumenta. Nascono scontri tra lavoratori e datori di lavoro perché incombe il rischio di essere travolti e diventare quel mostro che è lo stesso sistema a fare di una persona. Tutto porta divisione, ma i due mondi potranno tornare a vivere insieme o saranno divisi per sempre? Un lavoratore che rischia di essere rimosso o condannato se non rispetta le regole è un nuovo immigrato clandestino a rischio espulsione. Quel muro della Zona, come quello di Berlino, è anche quello dei pregiudizi e delle barriere sociali, spesso alzato nei confronti proprio degli immigrati. Allora il solidale della misura politica attuata, che senso assume? Quanto il rischio che la solidarietà possa diventare sinonimo di cospirazione, connivenza, complotto, o un accordo pericoloso non stilato sulla fiducia, ma sull’interesse? Quale nuovo patto col diavolo alla Dorian Grey occorrerà pensare per salvarsi? Sembra questo la vera tortura svolta con lo strumento atroce del lavoro che è diventato un meccanismo perverso messo in moto. Da qui il riferimento al trepalium. Anche se, per lo spettatore, la vera tortura è dover stare col fiato sospeso per conoscere il finale. Tutto da scrivere. E il lavoro diventa, così, quanto di più universale e globale che esista.
di Barbara Conti