Presentando la politica americana in maniera irriverente, cavalca l’onda del political drama.
Con “Alpha House” arriva la satira politica all’ottava edizione del Roma Fiction Fest. La denigrazione di una classe politica americana incapace di amministrare e di risolvere i veri problemi del Paese, per cui il prendere parte alla guerra in Afghanistan è quasi un gioco, un gioco per il potere, uno stratagemma per ottenere visibilità, un tassello della nuova campagna elettorale per avere consensi. E se il neo candidato è un allenatore di pallacanestro, in realtà i politici sembrano tutti una sorta di Mr. Bean inglese, con uno humour che, però, lascia solamente spazio a tanti sorrisi amari. “Alpha house” viene presentato in una circostanza, quale il RFF, in cui si è parlato di political drama, di political crime, per cui in politica non ci si può fidare di nessuno, si è disposti anche ad uccidere per il potere, in maniera spregiudicata; per cui il vero dramma, più che i problemi economici e sociali, è la spietata lucidità mentale con cui agiscono i politici. Questi ultimi sono quasi dei veri calcolatori, come ci vengono mostrati in “House of cards”, nella versione maschile e femminile: Kevin Spacey e Robin Wright interpretano, rispettivamente, due coniugi (Frank e Claire Underwood) disposti a tutto pur di avere potere. E tendono trappole anche mortali. E più che il giallo, sembra il genere noir a dominare, in cui in questa detective story avvincente si devono affrontare anche degli omicidi.
In “Alpha house”, invece, la trappola in cui si cade è quella di tremende gaffes irriverenti, in errori anche diplomatici comici e degni delle migliori commedie. Se non si trattasse di una vera e propria satira politica, per il tono irriverente con cui vengono denigrati i protagonisti. Ne vediamo delle belle ed i personaggi ne combinano di tutti i colori. Un ruolo importante lo hanno le first ladies, che guidano le campagne elettorale dei mariti, quasi “inetti” e privi di ogni nozione di quale siano i meccanismi politici. Questi ultimi ricevono riconoscimenti per premi che neppure conoscono. Alle cerimonie di premiazione o in tv non sanno fare neppure un discorso sensato e così si ricicla quello vecchio di un collega. Per la maggior parte sono contro l’omofobia (sempre che comprendano il significato del termine!). O contro le leggi che regolamentino i cambiamenti climatici (perché c’è stata un’evoluzione nel clima?, sembrano quasi chiedersi). In tutto ciò, ad aggravare la tragedia della situazione in cui ci si trova, politicamente parlando, tutto sembra sottolineare l’assenza di rispetto per la privacy e la dignità umana e personale. Si vuole fare politica, senza neppure conoscere i nomi dei nuovi senatori eletti. La Casa bianca sembra una sorta di porto di mondo, dove tutti vanno e vengono facendo solamente i propri interessi. Un albergo, per giunta privo di letti, ma dove troviamo solamente brandine. Precarie come la politica o l’instabilità socio-economica del Paese? Quasi fosse una casa nuova appena costruita ancora tutta da allestire. Peccato che si stia parlando di istituzioni pubbliche fondamentali. Ed allora, come avere fiducia in esse? Ed infatti i politici diventano bersagli preferiti dai giornalisti, che si divertono a umiliarli quando li invitano alle proprie trasmissioni. Come se non bastasse, i guardaroba della Casa Bianca non servono per riporre giacche di tailleurs o soprabili eleganti, ma per vivere momenti di passione mondana, scappatelle del personale e dei politici stessi. Già, perché si dovrebbe perdere tempo a discutere di politica, quando ci si può “divertire”? Oppure perché dare importanza e preoccuparsi dei sondaggi elettorali, quando si è troppo impegnati a giocare alle slot machines e vincere soldi? Non si è forse già stipendiati abbondantemente? Ma, si sa, i soldi non sono mai abbastanza per chi deve preoccuparsi come i politici di arrivare a fine mese!
Sicuramente è l’esagerazione il tono principale adottato. In fondo, però, sia che si adotti un tono tragico, ironico, sarcastico, comico o melodrammatico, i punti focali su cui si insiste sono sempre gli stessi. “L’ambizione politica ha a che fare con la vulnerabilità umana”. “Non è importante dare risposte, soluzioni, ma trovare personaggi che permettano di porsi quagli interrogativi”, come ha detto Howard Gordon durante la discussione di un panel sul political drama, a cui ha preso parte con Marianne Grey e Lorenzo Mieli. E la vera domanda fondamentale che sembra ci si voglia porre, è sembrato suggerire Gordon, è: quale è l’importanza di avere potere? E, soprattutto, quale il prezzo che si è disposti a pagare per ottenerlo? Sicuramente la certezza è che tutti i personaggi sono molto approfonditi e sofisticati dal punto di vista psicologico e della loro personalità. E crediamo di poter dire che, chiunque si cimenti nell’affrontare tali problematiche (che sia Howard Gordon in “Tyrant” o Garry Trudeau in “Alpha house”) sia stato colpito dalla forza corrompente e corruttrice del potere. E dunque non resta che scegliere se essere disposti a scendere a compromessi, oppure voler cercare di fuggire per evitare di essere corrotto, come dice Bassam in “Tyrant. E se allora, in “Tyrant” c’è il sogno americano e dell’industrializzazione occidentale, questo viene subito disilluso in “Alpha house”. Nel primo film vediamo Jamal andare in giro in Ferrari, nuovi centri commerciali che verranno costruiti a Ma’an, i protagonisti vestire all’occidentale, Bassam fuggire in America e poi litigare con l’amico, che è andato a cercare e che ancora porta sulla sua pelle i segni della guerra con ferite sul petto, proprio a causa del suo “sogno americano”. Nel secondo, invece, vediamo che non fa differenza tra democratici e repubblicani, poiché tutti sono troppo preoccupati dalla sfera “personale” per pensare a quella pubblica. Ed è questo che conduce agli scandali che sconvolgono la politica. In “Alpha house” il senatore Vernon Smits (Bill Murray) viene arrestato. O, in maniera ancora più grave, all’omicidio della giovane Zoe Barnes (Kate Marra) in “House of cards”. O alla devastazione di intere famiglie e popolazioni in “Tyrant”, dove sembra che la gente voglia “la libertà di uccidersi l’un l’altro riconosciuta formalmente”, come constata con amarezza il vecchio padre dei due fratelli Jamal e Bassam.
Quello che sembra accomunare tutte queste serie tv è che, tanto in politica quanto in società, vi sembra essere l’incapacità della convivenza pacifica, nella tolleranza e nel rispetto reciproco. Non a caso il tema centrale di “Alpha house” è che tre politici repubblicani (compreso l’ex coach Gil John Biggs, alias John Goodman), convivono a Washington affianco del senatore Smits. Tutto prosegue nella solita classica routine quotidiana, in cui effettivamente le giornate scorrono tutte uguali senza che nulla di significativo accada, fino all’arrivo di un nuovo coinquilino: il latinoamericano Mark (Andy Guzman).
di Barbara Conti