Viaggio nella carriera del più poliedrico e antidivo degli attori hollywoodiani
Lo avevano dato talmente tante volte per morto che alla notizia della sua scomparsa, lo scorso 11 agosto, tutti hanno pensato all’ennesimo scherzo in rete. E invece Robin Williams se n’è andato per davvero, a 63 anni, in un momento in cui, nonostante la sua splendida carriera, ancora ci si aspettava qualcosa da lui.
Nato a Chicago nel 1951 da una famiglia benestante, Robin Williams è forse l’attore che più è riuscito ad arrivare ai cuori della gente comune: tra gli anni ’70 e ’80 raggiunge la fama internazionale grazie al ruolo dell’alieno Mork nella serie TV Mork & Mindy, firmata da Garry Marshall e all’interpretazione di Braccio di Ferro nel Popeye di Robert Altman.
Tra il 1987 e il 1989 arrivano i due personaggi che lo consegneranno all’“Olimpo delle star”: l’aviere Adrian Cronauer di Good Morning, Vietnam (regia di Barry Levinson) e il professor John Keating del L’Attimo Fuggente (di Peter Weir). Per entrambi i film riceverà una candidatura all’Oscar come Miglior Attore Non Protagonista.
Niente statuetta per lui nonostante la decade degli anni ’90, sia costellata d’interpretazioni memorabili: nel 1990 interpreta il dottor Malcolm Sayer nel film drammatico Risvegli, con al suo fianco un grandissimo Robert De Niro. Nel 1991 è Peter Pan in Hook di Steven Spielberg: tenero, spensierato, coraggioso, pirotecnico, Williams mette il suo talento in un film che diventa epocale grazie anche al suo antagonista, uno straordinario Dustin Hoffman/Capitan Uncino. Dello stesso anno è La Leggenda del Re Pescatore (di Terry Gilliam) che gli vale la terza nomination agli Oscar: anche questa volta sfiora la statuetta ma vince un Golden Globe.
Incurante dei premi mancati, nel 1993 arriva sul grande schermo con Mrs. Doubtfire: camaleontico, Williams interpreta un ex marito che, per riavvicinarsi ai figli, si cala nei panni di una vecchia tata e si fa assumere dalla ex moglie. Il film sbanca ai botteghini e diventa un blockbuster. Due anni dopo Jumanji (storia di un ragazzo degli anni ‘60 prigioniero del suo gioco) bissa il successo.
Fra il 1997 e il 1998 altri tre film: con Will Hunting – Genio Ribelle, al fianco di Matt Damon, arriva il Premio Oscar e le sue interpretazioni in Al di là dei Sogni e Patch Adams, scrivono un altro pezzo di storia del cinema.
Il nuovo millennio porta Robin Williams a misurarsi con nuovi personaggi: nel 1999 è il robot del L’Uomo Bicentenario, film tratto da un romanzo di Isaac Asimov, e nel 2002 arriva il suo primo ruolo negativo con One Hour Photo, in cui veste i panni di un assassino. Lo vorranno ancora in tanti: Christopher Nolan in Insomnia (2002), Barry Levinson (di nuovo) in L’Uomo dell’Anno (2006) fino al più recente The Butler di Lee Daniels (2013) e alla trilogia Una Notte Al Museo, firmata da Shawn Levy, accanto a Ben Stiller, il cui terzo capitolo è anche l’ultimo film di Williams che uscirà alla fine del 2014.
Una carriera sfolgorante, in cui l’attore americano non si è negato nulla: dagli sketch televisivi alla pubblicità senza disdegnare la musica (ricordiamo il suo cameo recitato nella cover corale dei Rolling Stones, It’s Only Rock And Roll, del 1999).
La rete piange Robin Williams con messaggi di cordoglio che arrivano da tutti: dalla figlia Zelda al Presidente Obama, passando per Ben Stiller, Eva Longoria, Ellen DeGeneres e tante persone comuni, quelle a cui l’attore americano aveva dedicato i suoi film.
Ed è proprio al loro ricordo che ci uniamo anche noi, in un impeto di malinconia collettiva: come in Hook, qualcuno oggi farà le veci di Wendy e, se dovesse chiederci perché stiamo piangendo, risponderemo con Peter: «Non lo so. Una lacrima per ogni pensiero felice.» E Robin Williams sì, ce ne ha regalati tanti.
di Lucia Gerbino