Tre ragazzi tra amore, amicizia, bullismo, adolescenza, omofobia. Usciti, al tempo stesso, da un musical e dalle pagine di cronaca nera di giornale o del diario dell’anima. Quasi una lettera scritta per le giovani generazioni, ma anche per gli adulti.
Che cos’è un bacio? Di solito il sigillo di una storia d’amore, ma cosa accade se diventa un gesto che scatena odio e rabbia? Si può morire per un bacio? Si potrebbe pensare a una fine tragica di stampo shakespeariano in stile Romeo&Giulietta. Invece il film di Ivan Cotroneo, che si intitola proprio “Un bacio“, è molto di più. È una storia, che prende spunto da un suo racconto edito Bompiani, ampliato e rivisitato per la sceneggiatura, infatti i protagonisti sono tre giovani adolescenti e non due ragazzi e la loro insegnante come nel racconto. Si tratta di una vicenda fresca, attuale e romantica che parla di bullismo, non solo omofobico, di adolescenza, delle prime volte, della scoperta dell’importanza dell’amicizia vera: l’unica cosa che ti salverà dai pregiudizi di un mondo duro e ingiusto. Una storia pensata per i ragazzi, cui è rivolta. Molti sono stati gli alunni incontrati dall’autore in diversi licei, che si sono mostrati subito affascinati dal film. Ha stupito la loro voglia, la loro necessità e il bisogno di raccontarsi. A colpire sono state la sincerità e l’intimità comunicate da un film che parla anche agli adulti. “Un percorso”, “un’educazione sentimentale” lo ha definito Cotroneo. Di certo un prodotto genuino, sincero e sentito che vuole insegnare il rispetto per gli altri, per la diversità, e vuole spingere più alla comprensione che al giudizio. Un’opera sull’inclusione che deriva dalla solidarietà nell’amicizia che nasce dall’identificazione nel riconoscersi simili. Soprattutto un film che aiuta a riflettere sull’importanza e sul peso delle parole, che possono scalfire la sensibilità di anime fragili e vulnerabili come quelle degli adolescenti. Parole che diventano etichette che non ci si toglie più di dosso e che privano della libertà di esplorare e conoscere il mondo, anche quello personale del momento e quello che sarà in futuro. Per i tre protagonisti il loro liceo è un inferno, sono considerati i tre ‘sfigati’ del Liceo Newton. Eppure oscillano sempre tra la paura e il fascino e l’entusiasmo del nuovo. Sempre in bilico e in equilibrio precario, cercano disperatamente la capacità e la forza di resistere.
Il film non manca di evidenziare i risvolti negativi e tragici che possono derivare dalla comunicazione al tempo dei social network e la deriva di atteggiamenti alienanti e isolanti. Aggressività fisica e verbale sono diventate, purtroppo, qualcosa da ostentare con orgoglio e di cui essere fieri. Le campagne omofobiche, gli elenchi degli adolescenti omosessuali morti suicidi sono ben presenti in “Un bacio“. Ma anche la violenza sessuale sulle giovani ragazze. Tutti ricollegabili alla mancanza di dialogo. Anche in casa, all’interno della famiglia di origine. Per questo si tratta di un film anche per adulti, sottolineando la difficoltà ad interagire con i figli: al contempo il loro orgoglio e soddisfazione e il loro fallimento, specchio dell’insoddisfazione e dei loro rimpianti.
Una lotta quasi a preconcetti sterili: il bullismo è inaccettabile come l’omofobia, ma dietro un ragazzo problematico non è detto che vi siano genitori disattenti.
Semplice, umano, diretto, profondo: “Un bacio” è ambientato ad Udine, città piena di contrasti, che accoglie gli opposti stridenti del vecchio e del nuovo, tra la tendenza all’innovazione tecnologica e il perdurare di un immobilismo ottuso, bigotto, miope di fronte al diverso e al nuovo, incapace di una più ampia visuale e comprensione. Tuttavia il regista ha spiegato di aver voluto raccontare non quanto le parole possano far male ed essere considerate atti di violenza, ma come ciò possa essere percepito in modo deflagrante e di quanto tale fenomeno possa essere sottovalutato. Malessere, che trova la sua risposta nell’amicizia.
‘Un bacio‘, al cinema dal 31 marzo prossimo, è un inno alla vita vera, è la rappresentazione della forza vitale che alberga nei rapporti di amicizia, un faro nel buio della solitudine e unico strumento per resistere ad essa. I tre protagonisti, non a caso, è come se dipingessero la loro vita, come fanno con le pareti della loro aula per punizione; lo fanno con il bianco del candore, dell’innocenza, dell’ingenuità e della sincerità. Bianco che vale quanto tanti toni messi insieme: quelli delle emozioni e delle sensazioni. Una delle scene più belle è quella quando si ritrovano impiastricciati di vernice, immaginandosi di essere insieme in un altro luogo. Evadere per non soccombere, ma anche per essere se stessi. Così ritrovano il sorriso che rende tanto felici i loro genitori. Spesso ciò che si ricerca è la semplicità delle piccole cose.
La scena più difficile quella nella piscina, racconta l’attrice Valentina Romani, dove la protagonista viene violentata mentre la filmano. Lei ha voluto rivolgere un appello a tutte le ragazze: “siate gelose del vostro corpo; è la cosa più importante che avete e il fatto che possa anche concepire un figlio è una cosa fantastica”.
Ma ogni corpo va rispetto nella sua dignità e integrità, fisica e morale.
I tre protagonisti sono Antonio (Leonardo Pazzagli), Blu (Valentina Romani) e Lorenzo (Rimau Grillo Ritzberger).
Antonio è un ragazzo introverso, che soffre molto per la morte del fratello maggiore Massimo cui era molto legato. I genitori lo ricoprono di attenzioni, ma i sensi di colpa lo divorano comunque. Figlio di un poliziotto che ama fare il cacciatore
Blu è una ragazza ribelle cui il mondo fa schifo.
Lorenzo è un ragazzo di una casa famiglia adottato e gay per il quale il mondo comune è noioso.
Tutti e tre con problemi di adattamento.
Ivan Cotroneo racconta tutto con leggerezza e fruibilità, ma con estrema serietà ed oggettività, senza essere banale né superficiale. Obiettivo nel non fare censure, ma anche abile ed intelligente nel toccare le corde giuste con le modalità adeguate e la sensibilità necessaria. Soprattutto efficace nel ricorrere a due stratagemmi fondamentali e vincenti. Il primo è costituito dalle lettere che Blu si scrive, in cui racchiude (come in un diario) i suoi pensieri sulla vita e sull’adolescenza. L’altro è rappresentato dagli effetti scenografici da divo con cui entra in scena e fa il suo ingresso nel liceo Lorenzo: tutto colori, vestiti fighi e farfalle volanti che gli ruotano intorno e lo accompagnano. Un’entrata nel suo stile: estroso, esuberante, appariscente, provocatorio, eccentrico, esibizionista, ma anche delicato. È un po’ il suo accesso alla vita: se gli verrà negato poco importa, ma lo farà a modo suo, nonostante tutto, perché crescere significa questo.
Tuttavia il regista cala altre due carte forti. Le musiche, da quelle di Lady Gaga o “Hurts” di Mika, ma anche Billy Idol ed altri ‘evergreen’ più tradizionali. E poi l’abbigliamento. I tre un giorno decidono di marinare la scuola e si recano in un negozio dove fanno prove di vestiti quasi a trovare il loro stile, cambi d’abito in stile ‘Pretty woman’, quasi fossero usciti da un musical che potrebbe essere tranquillamente “Mamma mia!” con Meryl Streep. Centrale di sicuro il ruolo della musica in un film anche molto ‘mentale’.