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The Conspirator

the-conspirator-poster-italia_midL’evanescenza del sogno americano

 

Molto prima della morte in diretta televisiva di John Fitzgerald Kennedy l’America ha dovuto affrontare un altro attentato illustre, che ha rischiato di sconvolgere gli equilibri della Casa Bianca e di un paese ancora profondamente diviso tra nord e sud. Nella notte del 14 aprile 1865 l’allora sedicesimo presidente degli Stati Uniti Abraham Lincoln venne assassinato da John Wilkes Booth, un attore della Virginia simpatizzante suddista , con un colpo di pistola al grido “Sic semper tyrannis!” (Così sempre per i tiranni). Quest’attacco inaspettato al cuore del sistema fece tremare i piani alti dell’Unione degli Stati che guardarono con crescente preoccupazione al futuro di una nazione ancora difficilmente in fieri. Sotto il vessillo dell’abolizione della schiavitù Lincoln aveva condotto una crociata apparentemente umanitaria e profondamente politica. La guerra di secessione aveva assicurato l’unità della nazione ma allo stesso tempo aveva consegnato nelle mani del Presidente una parte del paese piegato e pericolosamente rabbioso. In questo scenario e nell’infinita distanza che separa i vinti dai vincitori si diede vita ad una serrata caccia ai cospiratori dell’assassinio e al seguente processo diretto da un tribunale militare nonostante gli imputati fossero tutti civili. A distanza di quasi due secoli molti dubbi aleggiano ancora sulla validità del procedimento e sulla sua democraticità, in modo particolare per la sorte di Mary Surratt, prima donna ad essere condannata a morte nonostante nessuna diretta incriminazione. Ma l’America e il suo sistema aveva bisogno di un capro espiatori e l’ottennero.

Date a Robert Redford un mistero politico con più di cento anni e lo trasformerà incredibilmente nella più avvincente e drammaticamente moderna trial story. Dichiaratamente liberal, attento alle tematiche ambientalistiche e alla politica degli Stati Uniti, “l’uomo del Presidente” non è solito risparmiare al suo paese critiche dal sapore “comunista”, almeno per chi crede ancora nella possibilità della minaccia rossa. Così, dopo Leoni per Agnelli, in cui metteva sotto inchiesta l’invalidità sociale e generazionale della guerra in Afghanistan, questa volta il regista rivolge la sua attenzione al sistema giudiziario americano che, pur vantando una Carta Costituzionale piuttosto chiara e esaustiva, non è insolito piegare il principio stesso di giustizia alle necessità di un “bene” più alto chiamato nazione. Andando oltre le ambientazioni ed il manierismo cavalleresco di fine ottocento, l’involucro del film lascia spazio ad un contenuto contemporaneo e profondamente integrato con la natura di una struttura istituzionale capace di cavalcare l’emotività di massa come un’ arma di sterminio. In questo modo Robin Wright e James McAvoy danno vita non solamente ad una narrazione storica arricchita da sfumature d’intensa umanità, ma, nella loro ostinata ricerca della verità, raccontano un presente post 11 settembre in cui la politica interventista di George W. Bush ha riportato alla luce la natura di un sistema troppo patriot e decisamente poco democratic.

 

di Tiziana Morganti