Bizzarra interpretazione della vita di Fatih Akin, il turco di Amburgo

Amore, odio, sesso, cibo (tanto cibo): sono questi gli ingredienti principali della ricetta di Soul Kitchen, ultima creatura di Fatih Akin, regista tedesco di origini turche che racconta, in questo suo film, la disperata e affannata ricerca della felicità (e, perché no, anche di un po’ di soldini!)

di un povero ragazzo greco emigrato in Germania per cercare lavoro, fortuna e per sbarcare, in qualche modo, il lunario. Per questo motivo, anche se dopo mille peripezie, riesce ad aprirsi un ristorante, il Soul Kitchen, la cucina dell’anima, facendolo diventare in tempi record (e con un bel po’ di fortuna) un locale alla moda e richiesto da tutta la popolazione di Amburgo. Peccato, però, che per il povero Zinos Kazantsakis i guai siano dietro l’angolo e Dio solo sa se questa volta sarà in grado di risolverli (e ovviamente si, ci riuscirà).
Nonostante alcune mosse prevedibili, sequenze poco ritmate che faticano a decollare e personaggi fin troppo stereotipati, Soul Kitchen è un film brillante, grottesco e cupo ad un tempo, caratterizzato da una fotografia sporca e tipica del recente cinema indipendente europeo e da una sceneggiatura verbosa e incalzante, anche se a tratti opprimente.
La comicità di Soul Kitchen non ci appartiene, questo è certo, ma riesce comunque a trasportare lo spettatore e a coinvolgerlo non tanto negli eventi, quanto proprio nell’intimità degli stessi protagonisti, anche se il contorno dell’intero film spesso non lascia tempo o spazio ad una corretta caratterizzazione dei personaggi. E davvero poco importa se le situazioni illustrate sono spesso poco plausibili o troppo grottesche da essere sopportabili: Soul Kitchen sazia davvero lo spirito, riesce davvero a farti trascorrere un paio d’ore col sorriso stampato sul volto: e credetemi, di questi tempi non è affatto così facile come sembra.

di Luna Saracino