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Plebiscitario James Cameron

Avatar_locandinaAvatar, tra Pocahontas e il mito della frontiera…

La lunga attesa è terminata: a quasi un mese dall’uscita mondiale, arriva anche in Italia Avatar, l’ultimo film del regista statunitense James Cameron.

Costato svariate centinaia di milioni di dollari, molti dei quali impiegati nello sviluppo di tecnologie indispensabili per la sua stessa realizzazione, Avatar ha già infranto parecchi record: per dirne un paio, è il primo lungometraggio interamente girato con la Reality Camera System (che con l’aiuto dell’animazione del motion capture ha reso il film semplicemente unico) ed è stato il più veloce della storia ad incassare – e superare – il primo miliardo di dollari al botteghino, di cui quasi quattrocento milioni soltanto negli Stati Uniti.
Il regista ha impiegato quasi quindici anni per veder concretizzato il proprio sogno in 3-D, e per certi aspetti si è ripetuta la storia del kolossal Titanic, durante la cui lunghissima realizzazione, con l’aumento esponenziale dei costi di produzione, in molti gridavano al fallimento (finanziario) e sorridevano alla follia (del regista). Eppure, ancora una volta, Cameron ha avuto ragione.
Al netto degli (eccezionali) effetti speciali, la storia narrata è assolutamente accessibile, con il consueto bilanciamento tra azione, sentimento e meraviglia, senza sottotesti complessi: Cameron è sempre attento ad arrivare a un pubblico il più vasto possibile e vuol piacere a tutti – bambini e adolescenti, adulti amanti del genere romantic come pure dell’action movie, e se possibile anche a tutti gli altri. Questo è il suo grande pregio e il segreto del suo successo plebiscitario, ma è anche, paradossalmente, il suo limite. Difficile non uscire soddisfatti, almeno in parte, dalla visione di un suo film (che sia Aliens o Titanic), ma la sensazione di essere stati guidati, quasi “imboccati” dal regista in ogni momento della visione, è talvolta opprimente. In Avatar c’è infatti un uso massiccio di archetipi di ogni tipo – soprattutto letterari, mitologici – che, combinati con echi di avvenimenti storici, dunque realmente accaduti, nonché con un compiaciuto autocitazionismo, rendono il film più che commestibile (quasi già digerito).
Avatar è ambientato nell’anno 2154 sul pianeta Pandora, ambita preda di marines interstellari statunitensi per un pregiato minerale (Unobtainium) di cui il sottosuolo è ricco. Che in superficie ci viva dall’alba dei tempi il pacifico popolo dei Na’Vi, creature umanoidi dalla pelle blu alte tre metri, è un dettaglio irrilevante. I Na’Vi vivono in simbiosi con la natura che li circonda, o, meglio, vivono il loro farne parte con semplicità, perfino oltre il tempo e lo spazio; l’intruso Jake Sully (Sam Worthington), ibrido (avatar) tra umano e Na’Vi, creerà inevitabile scompiglio, soprattutto per la liaison sentimentale con Neytiri (Zoë Saldaña), figlia del capo tribù.
Il pensiero non può che andare ai nativi americani, scalzati secoli orsono dai loro territori da coloni armati fino ai denti, e alla storia leggendaria, terribile e romantica, di Pocahontas; le assonanze tra le creature inventate da Cameron e i nativi americani si riscontrano nel rapporto con la natura, nella dedizione alla caccia, nell’essere fiero popolo guerriero ma mai guerrafondaio.
Molto più riconosciuto ed esplicito è invece il rapporto con un altro film di Cameron, Aliens – Scontro finale: oltre a condividerne l’attrice (Sigourney Weaver), ne ripropone infatti molte idee, dal viaggio cosmico addormentati (ibernati) in capsula allo scontro con l’uso di grandi esoscheletri, passando per il personaggio secondario della donna-marine tutta d’un pezzo, pronta al sacrificio per una causa superiore.
Come nella miglior tradizione del puro film d’intrattenimento, tutto, in Cameron, è esattamente quel che sembra fin dalla prima occhiata: i cattivi sono cattivi, e chi riesce a guardare oltre il proprio naso ha senz’altro il cuore puro. Il resto è meravigliosa immersione in un mondo fantastico, con una natura lussureggiante che non risponde alle leggi terrestri e che i nostri occhi, opportunamente bardati degli specifici occhiali, non vorrebbero abbandonare. Almeno per questo una risposta l’abbiamo già: il regista ha annunciato che Avatar sarà una saga. E sia.

di Manuela Pinetti

Svevo Ruggeri
Svevo Ruggeri
Direttore, Editore e Proprietario di Eclipse Magazine