Benoît Delépine e Gustave Kervern, autori dell’elogiato e anarchico Louise Michel, tornano al cinema con un liberatorio e poetico road movie
All’età di sessant’anni Mammuth (Gérard Depardieu) – chiamato così per il modello della sua moto – va in pensione dopo aver lavorato duramente dall’età di 16 anni.
Mammuth è un tenero ‘idiota’, totalmente privo di senso pratico e continuamente sollecitato dalla ferrea moglie Catherine (una scatenata Yolande Moreau). Non appena si confronta con gli ingranaggi burocratici, Mammuth comprende che per ricomporre i contributi pensionistici deve rintracciare quei datori di lavoro ‘sbadati’ che hanno dimenticato di versarli. Per Mammuth ha così inizio un’avventura on the road in sella alla sua vecchia moto, dove le tre muse della sua vita – il primo amore (Isabelle Adjani) morto in un incidente in moto, la nipote (Miss Ming) dallo spirito hippie e la moglie Catherine – lo accompagnano in un viaggio alla scoperta di sé.
Il film di Delépine e Kervern mostra una sensibilità acuta e genuina, una squisita raffinatezza di sguardo e di pensiero e una denuncia tanto alleggerita nei toni quanto lucida e puntuale alle falle di un sistema incompetente e alienante. Girato con una 8mm, Mammuth si lascia contemplare per i modi rarefatti e leggeri con cui indaga nell’intimità di un uomo da tutti considerato poco più di un inetto, un reietto della società che saprà prendere coscienza di se stesso e rinascere – anche se all’età di sessant’anni – a nuova vita. La fotografia opaca che investe di nuova luce i corpi dei personaggi, offre allo spettatore la possibilità di staccarsi da una realtà troppo delineata nei contorni per adagiarsi, piuttosto, in un rifugio onirico e surreale. Alla fine del viaggio liberatorio intrapreso per recuperare i documenti mancanti, Mammuth conquista la sua dignità e conferma i traguardi (personali) raggiunti racchiudendoli in un gesto di poetica bellezza.
Mammuth è dedicato a Guillame, il figlio di Depardieu morto a 37 anni. Lo stesso attore spiegò a Berlino (Mammuth era in concorso al 6o° Festival di Berlino) il motivo dell’omaggio: «E’ stata un’idea dei registi, erano molto amici di Guillame che faceva parte del loro mondo artistico, condivideva le loro critiche a una società che spinge gli uomini verso l’abbrutimento e l’alienazione».
di Francesca Vantaggiato