Nel cast due strabilianti Neri Marcoré e Piera degli Esposti. Oltre la fantastica location veneta che aggiunge colore ed ironia
È nelle sale dal 5 febbraio l’opera prima di Pietro Parolin: “Leoni, non mettetevi mai contro di loro”. Con un cast d’eccezione che vede protagonisti Neri Marcoré e Piera degli Esposti, ma anche due veneti doc quali Anna Dalton e Pierpaolo Spollon, oltre a Stefano Pesce. Un modo per indagare sulla crisi economica ai tempi moderni, sul senso stesso della vita, per riscoprire l’importanza delle radici e delle tradizioni per uscirne fuori in grande stile. Con ironia a sagacia si parte dal presupposto che, per tirarsi fuori dal dramma del precariato e della crisi stessa, occorre un’idea brillante. Quale migliore di quella di produrre il primo crocifisso interamente realizzato con materiali plastici riciclati? E così, all’epoca della green economy, ecco riaffiorare in maniera sottile, ma lucida, tematiche importanti: la piaga della disoccupazione, il precariato giovanile, l’adattamento a lavori umili ed occasionali (a partire da Pizza Express) e la rivalsa dei mestieri più manuali; l’arma a doppio taglio dell’imprenditoria, tra aziende che falliscono e chiudono e quelle che invece si quotano in borsa o addirittura delocalizzano la loro produzione all’estero, nei Paesi anche del Terzo Mondo. E il film gioca col vocabolario della società contemporanea e globale, sembrando quasi un manuale del bravo imprenditore, se non fosse che l’insegnamento che si impara è una lezione di vita morale più che economico-finanziaria. Mentre delucida la dura legge che regola il mercato tra domanda ed offerta (perché dove c’è una domanda, c’è sempre un’offerta), tuttavia non manca di ricordare che oggi l’offerta può equivalere a vendere oro in cambio di contanti. Soldi che servono a poter fare benzina semplicemente. Ma il sogno del lusso, del potere, dei ricchezza, del successo facile c’è sempre. Ed ecco che, così, tutto sta a sapere cogliere la propria occasione. Ed allora quale miglior settore del riciclaggio? Ma “lo smaltimento dei rifiuti è una cosa seria” e, soprattutto, molto rischiosa imparerà a sue spese il protagonista Gualtiero Cecchin (Neri Marcorè). E dunque riaffiorano le problematiche del divario tra Nord e Sud, del controllo dello stesso da parte della malavita organizzata. Pertanto è un attimo che i crocifissi diventino bombe a mano, croci esplosive all’era delle armi di distruzione di massa. Quasi a sancire gli antipodi che segnano le contraddizioni intrinseche nella nostra società: bene e male, una lotta continua tra il diavolo e l’acqua santa (bevuta da Mara, la madre di Gualtiero-Marcoré, alias Piera degli Esposti) verrebbe da dire, il divario se scegliere la via più facile del successo immediato, ma più avventato; oppure perseverare nelle tradizioni sane e sicure. Ed è per questo che troviamo affiancati la religione, il vescovo e la fede da una parte, e la spregiudicatezza del mercato, dell’imprenditoria più ambiziosa, della nobiltà e della camorra dall’altra. Pur di vendere si ricorre anche alla causa umanitaria, in un momento in cui l’immigrazione sembra quasi regolare i flussi demografici e migratori che cambiano la nostra società. Migrazioni alla ricerca di una speranza. Ed è quella che il film vuole dare. Ripartendo dall’aiuto ai giovani, proprio da parte di uno dei due massimi monopoli al mondo dopo le multinazionali: le banche. E se la famiglia di Gualtiero ed egli stesso troverà il proprio riscatto è perché la loro è “una famiglia influente, cioè che sa cose”. Allora la cultura, l’istruzione e la scuola contano ancora, sono una risorsa. E mentre ognuno dei personaggi trova la sua strada, vive la sua crescita e la sua trasformazione personale, il suo cambiamento soprattutto psicologico-emotivo, si ricorre all’ironia leggera anche per parlare di sterilità ed omeopatia. Quello che li accomuna è che in fondo ognuno di essi vuole cambiare il proprio mondo, ma imparerà che nessuno può farlo da solo se non sostenuto dall’affetto, dalla protezione sincera dei propri cari, di cui l’esempio delle figure genitoriali rimane sempre fondamentale. In questa che viene intesa come una pittura sull’idea contemporanea di famiglia, sul perenne contrasto tra diverse generazioni, tra genitori e figli, che vogliono comunque vivere a loro modo il loro momento storico, civile e sociale. “La vita è un viaggio”; “la vita è un’arena in cui o vinci o muori”, “la vita è una gabbia di leoni” si dice nel film. Mentre se ne cerca una definizione, l’unica certezza è che è una lotta continua per ricavarsi il proprio posto in società, in quella attiva che produce, soprattutto il cambiamento più che la ricchezza. E allora, quale meglio location del Veneto, il cui accento aggiunge colore ed ironia al film? Senza prendersi troppo sul serio. Tra dramma e comicità, tra gli alti e i bassi della vita, tra le vittorie e le ricadute, tra soddisfazioni e false illusioni. In fondo vivere significa sapersi destreggiare tra gli ostacoli della vita: come un domatore di leoni. Ed, ovviamente, il migliore sulla piazza è Gualtiero.
di Barbara Conti