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La mia bella famiglia italiana

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La mia bella famiglia italiana

La mia bella famiglia italianaL’Italia e la Germania si sposano nel film del regista tedesco Kreinsen

Eletto il nuovo Governo guidato da Matteo Renzi. Tra i ministri prescelti è stata nominata agli anche Maria Carmela Lanzetta (nata a Mammola nel 1955), del Partito democratico. Ex sindaco di Monasterace, a lei è stata dedicata a carica agli Affari regionali. È stata impegnata nella lotta contro la ‘ndrangheta, che nel 2011 le ha bruciato la farmacia e nel 2012 ignoti hanno sparato alla sua auto. Nel 2013, inoltre, si è dimessa da sindaco in polemica con l’opposizione della giunta comunale che non si voleva costituire parte civile in un processo che vedeva il Comune parte lesa. E di mafia si parla anche in tv con la fiction “La mia bella famiglia italiana”, di Olaf Kreisen, con Alessandro Preziosi.

Con la moderna globalizzazione, con una crisi che uccide le piccole e medie imprese, con il potere mafioso che toglie ossigeno all’economia, come in passato e come fu soprattutto per gli italiani, sono molti i connazionali che partono alla ricerca di fare fortuna all’estero, di quella che fu l’America nei primi del ‘900. E così, a crescere non sono soprattutto disoccupazione, spread e precariato, in particolare giovanile, ma anche il fenomeno della cosiddetta “fuga di cervelli”, che registra un incremento sostanziale allarmante. Ed anche le aziende ricercano il loro futuro, o meglio la loro sopravvivenza, altrove, producendo in outsourcing. Pertanto è importante raccontare e ricordare la storia di chi è tornato, di chi ha ritrovato le proprie origini, riscoprendo la propria identità, scegliendo di restare in Italia per cambiare dall’interno i problemi, affrontarli finalmente con coraggio e senza raccontarsi bugie, continuando a far finta di niente, come se tutto vada bene, quando invece di difficoltà ce ne sono eccome. Soprattutto per il Sud, per quel Mezzogiorno d’Italia, ma del mondo, tanto in sofferenza. Di tutto questo parla “La mia bella famiglia italiana”, in onda su RaiUno per la regia di Olaf Kreinsen, con Alessandro Preziosi nel ruolo di Paolo, migrante costretto dalla famiglia a lasciare la sua amata Puglia, a cui resta legato dal delitto del padre tutto da chiarire. Richiamato dal fratello Totò (Peppino Mazzotta), con la scusa dell’aggravarsi delle condizioni di salute della madre Angelina (Nunzia Schiano), tornerà con la moglie tedesca Martina (Tanja Wedhorn) in famiglia, per un tuffo nel passato che gli riserverà molte sorprese.

L’azienda di famiglia, retta dal fratello Totò, va male poiché “è stato troppo buono e negli affari chi lo è va a finire male”, gli spiega la madre. E così si trova di fronte al primo bivio se venderla o cercare di salvarla. Paolo non ci mette molto ad optare per la seconda soluzione. Per lui, nonostante abbia conosciuto una realtà diversa quale la moderna Germania (dove si è trasferito con la moglie e il figlio), il patrimonio più inestimabile resta comunque sempre ancora l’uliveto di famiglia, sebbene non sia fonte immane di ricchezza; ma il bene che dona è quasi più nobile: l’affetto dei suoi parenti, a cui lo lega in maniera forte anche dopo 20 anni. Se c’è chi pensa solamente a fare affari di puro interesse economico, come il candidato sindaco Santo Pitagora (Michele Di Virgilio), questo non è lui: “Vi piace lasciare la terra a quelli (i mafiosi ndr), a chi si approfitta”? Chiede ai suoi parenti Paolo, risentito dalla remissività con cui accettano i soprusi; a gente che ne stravolgerà l’integrità e la conformazione morfologica e geologica (ma anche la mentalità delle persone del posto): “Se si continua così in Italia le cose non cambieranno mai, anzi andranno sempre peggio”. Curioso che venga attribuito il nome Santo a chi santo non è, anzi rappresenta una delle cause principali del ritardo del Sud: il potere connivente politico che, invece di combattere la malavita, vi si allea e ne diventa complice in cambio del conseguimento di vantaggi ed interessi personali. E se, dapprima, Santo promette aiuto e sostegno, garantendo di comprare l’uliveto, dopo che quest’ultimo è stato infestato (così come furono manomessi i freni alla macchina del padre di Paolo la sera in cui morì poiché odiava i mafiosi ndr), poi, offre la metà poiché si è svalutato. E lui, testimone di un omicidio mafioso, in quanto Salvo vide l’assassinio di suo padre e non li ha denunciati, afferma: “Non sarebbe servito a niente. Del terreno non me ne faccio nulla, ho già il permesso per farci un villaggio turistico”. È il pensiero e l’atteggiamento di molti, è la voce dell’omertà, a cui Paolo si ribella, denunciando, poiché, nonostante il rischio di perdere tutto, lui “non è né un codardo né un ipocrita”; ci tiene a sottolinearlo, a dimostrarlo ed a rendere giustizia al padre, a se stesso e a tutte le vittime di mafia. È la risposta di tutti quelli come lui, come Gina (Karin Proia), in passato legata sentimentalmente a Paolo (per un triangolo amoroso, un intrigo che complica ed articola l’intreccio narrativo), che aveva un ristorante ereditato dal padre, che aveva chiuso per andarsene, ma che poi ha riaperto con la nascita della figlia Maria (Chiara Paoli), che definisce “la cosa più bella” che ha, usando lo stesso aggettivo associato a famiglia nel titolo. Con “italiana” ovviamente. Gina è una bellezza tipicamente mediterranea, in stile Lollobrigida o Maria Grazia Cucinotta, le cui forme perfette sono messe in evidenza da abiti aderenti e sexy.

E poi c’è il ruolo dei giovani: Maria, ma anche Florian Sanseviero (Patrick Mölleken), venuto dalla Germania a raggiungere i genitori e i parenti; musicista che porta la sua musica: all’inizio non viene apprezzata poiché è troppo diversa da quella tipica tradizionale del posto, ma poi l’applauso c’è. Un po’ come l’innovazione che vuole portare Paolo per salvare l’azienda. Ci vuole tempo, l’importante è però “ricominciare dalla voglia che ci porta a cambiare”, cantata nell’unica canzone che fa da colonna sonora al film.

E in questo paesaggio sterrato, fatto di trulli, di feste paesane in stile greco bizantinizzante, si riparte dalle pietre, delle grotte, ma anche quelle da sedimentare per creare una costruzione solida: dell’azienda, della famiglia, dell’uliveto, dove fare un’economia dalle risorse naturali della terra. In un’epoca in cui si punta sull’agricoltura e sull’allevamento, che ricevono finanziamenti ad hoc. È il ritorno a un’economia rurale di sussistenza tipica dell’antichità, che significa riscoprire le proprie origini per favorire uno sviluppo ambientale ecosostenibile e conforme con un equilibrio in linea con l’ecosistema. Soprattutto qui al Sud, che fa strada. I cui elementi caratterizzanti ci sono tutti: terra, sole, mare, aria pura, brezza leggera, i profumi degli agrumi, i colori della natura, la cucina succulenta e ricca, il verde delle olive e non solo. La sceneggiatura sembra davvero la parte vincente di questo film. Ma il Mezzogiorno non è solo questo; è molto più sia per l’Italia che per l’estero, per l’Europa e per la Germania stessa, sia dal punto di vista economico che umano: il Sud è passione, è il legame profondo con la propria terra natia, che non cessa neppure a distanza di anni; è tradizione, è il tenere alla propria famiglia, alle proprie origini di cui si è fieri e in cui ci si riconosce anche quando si viene da fuori. Però il Sud è anche mafia, è anche povertà, soprattutto di lavoro per i giovani. Ed allora “cui prodest”? A chi giova tutto questo? Si chiede Paolo.

Sebbene, come ha appreso rapidamente Florian, “dobbiamo fare tutto da soli”, quello che per Paolo conta è che “nessuno può né deve danneggiare un essere umano”. Dunque la famiglia prima di tutto; con cui tuffarsi dagli alti scogli che il mare della vita ci pone di fronte, da cui non resta che lanciarsi con chi ci vuole bene per non scagliarsi contro di essi, come a soccombere alla mafia e alle ingiustizie. È l’emblematica scena finale in cui Paolo si tuffa, su sollecitazione della moglie (del diverso, dell’altro, del nuovo in quanto tedesca ndr), nell’acqua cristallina del mare di Puglia, quasi a vedere più chiaro, ad avere il coraggio di superare le difficoltà e i complessi coi traumi personali, per lottare ed affrontare realmente i problemi.

di Barbara Conti