“Non è mai troppo tardi” per insegnare ad essere uomini liberi
Distinto, moderato ma simpatico; per nulla autoritario; formale, ma non distaccato; compìto, eppure molto interattivo col pubblico anche a distanza. Così si presentava agli occhi dei telespettatori Alberto Manzi, maestro pedagogo divenuto una celebrità grazie alla trasmissione di Rai Uno “Non è mai troppo tardi”. Erano i tardi anni Sessanta in Italia quando il tasso di analfabetismo era di circa 2 milioni di persone non in grado né di leggere né scrivere. Ebbene, tale uomo coraggioso fu in grado di abbassare, con quella trasmissione, quel livello drammatico di “ignoranza”. Un’impresa compiuta che il regista Giacomo Campiotti ha voluto ricordare nell’omonimo film-tv, andato in onda il 24 e 25 febbraio su Rai Uno. Campiotti mette a segno un altro record di ascolti, dopo il picco di ascolti sfiorato con “Braccialetti rossi”. Nel cast, infatti, oltre al protagonista indiscusso di Claudio Santamaria nel ruolo di Alberto Manzi, vi sono molti degli attori presenti in questa fiction. “Non è mai troppo tardi” è stato in grado, solamente nella prima puntata, di sfiorare i 6 milioni di telespettatori (sono stati per l’esattezza 5.932.000), per uno share del 21.06%. Il regista non ha commesso l’errore di omaggiare la Rai e la televisione italiana, quanto piuttosto di dare risalto e rilevanza all’esempio di quest’uomo che si è battuto, andando contro-corrente, per una causa quale quella del diritto all’istruzione.
“Fa quel che può, quel che non può non fa”. Questo era il suo motto; per lui la vera impresa era cambiare la scuola e c’è riuscito perché, come insegnava ai suoi ragazzi nel carcere minorile, “Il vero coraggio è imparare a leggere, a scrivere e pensare con la propria mente”. E questo lui ha fatto: ha tentato di far tirare loro fuori le loro idee, i loro ideali, come li ha fatti uscire dalle celle del carcere. Per dar loro una prospettiva, poiché “anche i 16enni hanno diritto al futuro”. Insegnando loro che tutti sono uguali, conquistando la loro fiducia, senza tradirla così da non essere tradito. Non ha lottato solo contro la mancanza di istruzione, ma anche contro la fame e la povertà, la prima causa dell’assenteismo nelle scuole e dell’analfabetismo. Accetta l’incarico nel carcere minorile, poiché è l’unica cattedra disponibile e lui “ha fame adesso”. Oppure compra tutte le trecce d’aglio che avrebbe dovuto vendere un suo alunno, Paolo, per permettergli di tornare in classe e alla famiglia del bambino di “poter mangiare”. Non a caso, in un’economia prettamente agricola come quella italiana, i campi portavano via i bambini dalle scuole; così come, ancora oggi, accade nel Mezzogiorno d’Italia, non a caso l’area dove anche attualmente c’è la più alta percentuale di analfabetismo. Compiendo un vero miracolo: far sentire ai suoi alunni che contano tutti alla stessa maniera ed insegnando loro a camminare con le proprie gambe; Giulia ha problemi motori e lui l’aiuta a salire le scale da sola e non in braccio ai genitori o a lui; quando si rifiuta, faranno lezione tutti sulle scale; così come, quando Paolo non va a scuola, loro vanno tutti da lui a casa sua a prenderlo. Fa capire ai suoi ragazzi che l’istruzione è un bene tutto per loro, personale, da custodire e da coltivare; per cui, di fronte alla matita che regala di nascosto ai suoi alunni, c’è chi esclama: “è la prima volta che ho una cosa tutta mia e non l’ho neppure rubata!”; oppure scrivere il proprio nome sembra loro “una magia”. Sicuramente Campiotti mette subito i puntini sulle “i”, come si suol dire, e già dall’inizio chiarisce le idee che veicolerà per tutto il film, quello che sarà il filo conduttore imprescindibile delle due puntate; imparare a leggere e scrivere equivale a conquistarsi un posto in società, a impossessarsi della propria libertà: la parola che scrivono i ragazzi subito dopo i primi rudimenti di alfabetizzazione. Come un giornalista con l’articolo di giornale nel lead, il regista sottolinea bene sin dall’inizio lo spirito che fu del Maestro Manzi; tanto che con tutti i pensieri dei ragazzi faranno un giornalino. E, se un insegnate è un pedagogo, non meno lo è un giornalista, infatti, che ha il diritto-dovere nei confronti dei lettori dell’onestà intellettuale nella corretta informazione completa. Anche quest’ultimo deve saper parlare alla gente, raccogliere le sue istanze di cambiamento, e spesso farlo con metodi innovativi. Qui fu la grande capacità di questo docente che non usò libri di testo, ma di lettura che hanno più impatto, così come i disegni per spiegare le vocali. Già aveva capito i potenti mezzi della televisione per arrivare dentro le case della gente. Qui è l’abilità di Santamaria che, con la sua ottima interpretazione ha saputo dare il giusto tono al suo personaggio, rispecchiando l’equilibrio di questa personalità che fu una celebrità di altri tempi, diversa da quelle odierne più incentrate sull’apparenza; per lui contava la sostanza dei contenuti veicolati tramite l’insegnamento della lingua italiana. “Non è mai troppo tardi” fu un progetto pilota imitato da 72 paesi che fu in grado di garantire la licenza elementare a un milione e mezzo di persone, e comunque non inferiore ai 35mila.
di Barbara Conti