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I Colori della Passione – The Mill And The Cross

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I Colori della Passione – The Mill And The Cross

L’arte di Bruegel rivive nel nuovo film di Lech Majewski

L’amore di Lech Majewski per l’arte non è un mistero. Lo sanno bene gli appassionati di cinema che hanno avuto modo di vedere tante delle sue opere sul grande schermo: basta pensare a Basquiat (1996) ritratto dell’irriverente artista newyorkese firmato da Julian Schnabel che all’epoca vide Majewski nei panni di sceneggiatore, o a The Garden Of Early Delights (2004) ispirato al capolavoro di Hieronymus Bosch. Ed è sempre l’arte il fulcro del nuovo film del regista polacco, nella fattispecie, quella del pittore fiammingo Pieter Bruegel protagonista deI Colori della Passione (The Mill And The Cross) nelle sale dal prossimo 30 Marzo, distribuito da Cecchi GoriGroup. L’uso di tecnologie innovative, dalla recente computer grafica all’uso del 3D sono qui al servizio un obiettivo estremamente ambizioso: l’analisi del dipinto La Salita al Calvario con lo scopo dichiarato di calare lo spettatore direttamente nel quadro. La tecnica è quella del tableau vivant in cui la scenografia, il più delle volte, è quinta teatrale popolata figure, alternata alle più classiche riprese in esterna. La cornice è quella delle Fiandre del XVI secolo, all’epoca dell’Inquisizione spagnola e della sua sanguinosa repressione. In questo contesto si inserisce il pittore fiammingo, interpretato da Rutger Hauer: l’occhio del pittore, così come quello del regista catturano frammenti di vita di giovani amanti, di un viandante, di un’eretica, di un mugnaio, della gente del villaggio. Tanti ritratti tra cui quello di un “Cristo senza volto” protagonista nascosto nel dipinto di Bruegel così come nel film di Majewski. Accanto all’artista anche il suo amico e collezionista d’arte, Nicholas Jonghelinck (Michael York) e la Vergine Maria (Charlotte Rampling). Il ritmo narrativo è lento, la sceneggiatura è scarna, a sancire che I Colori della Passione non è un film per tutti: riflessione sull’arte e sulla religione, sulla storia e sulla politica, incontro-scontro tra presente e passato, il film di Majewski è un’esperienza estetica fatta di suoni ma soprattutto di immagini, davanti alle quali bisogna porsi necessariamente con lo sguardo di chi sta contemplando un’opera d’arte. Il regista ha raccontato l’incontro con la pittura di Bruegel, un incontro che risale all’adolescenza e che l’ha accompagnato negli anni: “All’epoca viaggiavo spesso con mio zio, che risiedeva a Milano ma insegnava al Conservatorio di Venezia” ha raccontato Majewski in conferenza stampa. “Ci muovevamo in treno e, a causa degli orari, ero costretto a fermarmi a Vienna per un giorno intero. Quand’ero lì mi piaceva visitare il Kunsthistorisches Museum. Ero capace di restarci per delle ore. Ed è così che ho scoperto Bruegel.” Parlando dell’opera del pittore fiammingo, Majewski ha aggiunto: “Una volta che entri nel suo mondo rimani come ipnotizzato, la sua arte ti cattura come un magnete. Nessuno degli artisti della sua epoca ha fatto quello che ha fatto lui: nascondeva i suoi protagonisti nella quotidianità. Da Cristo a Icaro i suoi personaggi non sono mai in primo piano. L’idea è quella che possono accadere le cose più incredibili proprio accanto a noi e, presi dalla quotidianità, potremmo non accorgercene. “I Colori della Passione è stato presentato con grande successo a Londra (National Gallery), Parigi (Louvre) Venezia (Biennale) e New York (MoMA) e distribuito in 55 paesi. A chi gli chiede perché non abbia scelto un tema “più facile” il regista risponde così: “Quando spendo parte della mia vita nella realizzazione di un film preferisco incontrare un’artista. Nel cinema ho bisogno di qualcuno che abbia qualcosa da insegnarmi e dai gangsters, sinceramente, non ho nulla da imparare.”

di Lucia Gerbino