Adolescenti alle prese col difficile passaggio dall’età adolescenziale a quella adulta, che equivale al superamento dei propri traumi per la perdita di figure genitoriali cardine, esempi di vita da cui non ci si vuole separare
Due film speculari sul senso della vita, con protagonisti dei giovani che vivono il loro romanzo di formazione crescendo in maniera insolita, e quasi improvvisa, tra le vicissitudini impreviste ed imponderabili della vita. L’insolita ricorrenza accade alla nona edizione del Festival Internazionale del Film di Roma dove, in concorso nella sezione di “Alice nella città”, sono stati presentati sia “X+Y” di Morgan Matthews che “Guida tascabile perla felicità”di Rob Meyer. Già, poiché l’interrogativo che sembra stare dietro ad entrambi è proprio quello in che modo si possa arrivare ad essere davvero felici. E liberi. Protagonista del primo è un genio prodigo della matematica: Nathan (Asa Butterfield). Il mondo gli crolla addosso quando perde il padre in un incidente d’auto: era l’unico con cui riuscisse veramente a comunicare; lo faceva sorridere, ci scherzava e ci rideva, lo faceva sentire importante e compreso, non lo derideva, ma gli diceva che “aveva i superpoteri” e lui si sentiva speciale. Incapace di andare d’accordo con la madre Julie (Sally Hawkins), la sua vita cambierà quando avrà l’occasione di partecipare con la nazionale inglese alle Olimpiadi della Matematica (IMO). Durante un duro allenamento a Taiwan, conoscerà una ragazza, che è in gara con la squadra cinese: Zhang Mei (Jo Yang). Così le Olimpiadi per lui equivarranno a una prova che la vita gli sottopone per passare dall’adolescenza all’età matura. E saranno per lui un’esperienza dura, ma particolare. Nathan verrà completamente assorbito ed affascinato dal mondo cinese, forse perché “in Cina la matematica va oltre i numeri”. E dalla bella Zhang Mei, che lo vede come una tartaruga chiusa nel suo guscio. I due si innamorano nonostante i divieti imposti dalla competizione, poiché la giovane cinese riesce a trovare il modo di mettersi in contatto con lui, con il suo intimo, come neppure la madre riesce a fare nonostante gli sforzi: si mette persino a studiare matematica per lui. E mentre è impegnato alle Olimpiadi Nathan verrà anche a conoscenza dell’equazione matematica dell’amore, una formula che, però, non riesce a risolvere. Ed infatti rischierà di perdere per sempre anche Zhang Mei, se non intervenisse proprio la madre, con cui riuscirà a parlare per la prima volta ed a liberarsi del peso della morte del padre, forse per cui ha un po’ di senso di colpa dato che era in macchina con lui quando è accaduto l’incidente. E così riesce a risolvere quella formula matematica, andando a riconquistare Zhang Mei. Forse anche grazie a tutto il percorso seguito alle Olimpiadi, in cui ha incontrato Isaac, che gli dice che spesso “la cosa migliore da fare è buttarsi”e che “delle volte dobbiamo cambiare forma ed adattarci” alle contingenze della vita. Forse perché non si può risolvere la formula dell’amore, senza trovare l’incognita giusta (Zhang Mei);e poi perché spesso un’equazione va rielaborata, scissa nei singoli membri per poter ottenere il complesso unico della stessa. Ed ecco che Nathan finalmente trova la sua strada, riesca a risolvere l’Olimpiade della sua anima, di quella della madre e di Zhang Mei. Dunque se per lui la matematica è vita, ora sa adattarla alla vita reale. Oltre la bravura degli attori, vogliamo sottolineare un aspetto in più che ha inserito il regista Matthews, rispetto ad altri precedenti cinematografici. La storia di un bambino prodigio della matematica, che riesce a risolvere calcoli infinitesimali e partecipa a gare mondiali, non è nuovo; pensiamo, ad esempio, a “Will Hunting-genio ribelle” di Gas Van Sant, con Ben Affleck e Matt Damon, ma anche a “Rain Man” con Tom Cruise e Dustin Hoffman. Come in quest’ultimo film, anche Matthews in “X+Y” introduce un’attenta analisi psicologica interiore del protagonista Nathan, che anch’egli soffre di autismo. Però lo fa in una maniera che, comunque, non risulta pedante. Ed, infatti, il suo film ha ottenuto gli applausi finali del pubblico.
Sulla stessa linea, dicevamo all’inizio, è “Guida tascabile della felicità” di Meyer. Qui il protagonista è sempre un giovane adolescente: David. Il 15enne è appassionato di birdwatching, come la madre, che glielo ha insegnato sin da piccolo. Anche lui perde questa figura così importante per questo ragazzo, che non fa che ignorarsi col padre, il quale ha deciso di risposarsi con Giuliana, l’infermiera della madre. Preso a farsi distrarre dal birdwatching, quasi a mantenere un legame con la madre, decide di partire con degli amici (tra cui Ellen, di cui David si innamora, come Nathan di Zhang Mei) alla ricerca dell’anatra del labrador, considerata estinta. Per trovare quest’esemplare unico. Il gruppo di giovani vivrà molte vicissitudini, ma per David sarà un viaggio verso la liberazione dall’oppressione dolorosa del ricordo della madre che ha perso, per mantenerlo sempre vivo, ma in modo più sereno.
E l’inseguimento dell’anatra per i ragazzi è come “la ricerca della felicità”, titolo di un film che questo di Meyer riprende; ma sono consapevoli che non c’è nessuna guida tascabile, paradossalmente, nessun manuale che la sappia descrivere e spiegare così bene come l’esperienza diretta in prima persona. In particolare per David è un’esperienza privata, personale quasi. Come a chiedersi come fare a ritrovare la felicità dopo la perdita della madre: lui sostituisce le fedi nel cofanetto, per il matrimonio del padre, con il cadavere di un uccello: dunque per lui la madre è insostituibile. E l’anatra ai suoi occhi è la madre, rappresenta quel filo che lo tiene legato a lei (come la matematica al padre per Nathan). Con la sua uccisione (come l’incidente del padre per Nathan), è come se avvenisse quell’esperienza catartica, traumatica ed epifanica allo stesso tempo, per cui coglie il vero senso della vita, e con esso quello della morte. Si scoprirà, infatti, che quella uccisa non è l’anatra che cercavano, che David ha visto alzarsi in volo mentre lo guardava negli occhi. Quindi è come se capisse che la vita continua anche dopo la morte, come se staccarsi dalla madre non equivale a perderla per sempre, poiché effettivamente è come se non l’avesse mai lasciato, proseguirà a seguirlo (a distanza) nel suo cammino. Anche se continuerà sempre a mancargli fortemente. Da lei non si separerà mai, poiché continuerà a “vivere” dentro di lui, poiché in fondo la felicità è dentro ognuno di noi, basta ricercarla dentro sé, guardasi dentro per trovarla. Ma non serve fare finta di nulla per alleviare il dolore. Ed è proprio in questo momento che ritrova il padre (come Nathan la madre), e il rapporto con quest’uomo con cui decide di “non fare più finta che la mamma non manchi loro”. Ed ecco che David si rende protagonista di un discorso da vero testimone di nozze del padre, cui partecipa (anche se inizialmente aveva deciso di non andarci), in cui cerca di rielaborare tutto questo complesso concetto esistenziale-filosofico.
Dunque con queste due proiezioni la sezione di “Alice nella città” dimostra, una volta di più, la sua attenzione al mondo adolescenziale, alle sue problematiche, alle sue domande esistenziali, alle sue difficoltà a diventare adulti, a superare questo gap che equivale al passaggio ad un mondo più maturo, a cui si deve guardare sempre senza mai perdere l’entusiasmo della giovinezza, l’aspetto anche più infantile e ludico della vita, che è quello in cui è racchiusa la vera personalità di ciascuno; ma tutto deve essere rielaborato e filtrato dallo sguardo nuovo che si è acquisito con l’esperienza, per comprendere sino in fondo quale sia il vero senso della vita. Per raggiungere definitivamente la vera felicità, cosa complessa quasi quanto una formula matematica potremmo dire.
di Barbara Conti