Il giovane regista brasiliano Marco Dutra in un drammatico film sugli spettri del passato
Se il passato ti tormenta, è difficile guardare in avanti. E se il passato da cui cerchi di liberarti è denso di antri bui, nascosti, inquietanti, allora davvero non hai più scampo.
La stella nascente del cinema di genere brasiliano arriva a questa discutibile 9° edizione del Festival del Film di Roma con Quando eu era vivo, un film di genere, appunto, che naviga tra il noir, il thriller e il fantasy, senza abbandonare il dramma introspettivo.
Junior ha perso il lavoro e si è da poco separato da sua moglie. Per cercare di riprendersi si trasferisce provvisoriamente a casa di suo padre, che nel frattempo ha affittato la sua camera alla giovane Bruna. Mentre Junior fantastica una volta di troppo sull’avvenente coinquilina, si ritroverà nuovamente a contatto con tutti gli scheletri del suo passato, innescando una spirale di ricordi senza alcuna via d’uscita.
Scritto, diretto e sceneggiato dallo stesso Dutra, Quando eu era vivo (trad. “Quando ero vivo”) è un film disturbante e claustrofobico, in cui il caos della mente si accavalla via via a quello reale, lasciando allo spettatore un senso di smarrimento che lo pervade fino alla fine della pellicola.
Pur nella sua imperfezione e nonostante alcuni buchi nella sceneggiatura (non ci è ancora chiaro come mai Bruna sembra prima detestare Junior e poi decide di appoggiare ogni sua scelta, seppur bizzarra), Quando eu era vivo è un ottimo esperimento di genere, in cui Marco Dutra è riuscito non solo a dirigere un cast di ottimi e plausibili attori ma ha, soprattutto, composto alcune tra le musiche per film più intense degli ultimi anni. La fotografia, infine, è sporca, semplice, volutamente amatoriale, quasi a voler dare al film un tono “casalingo”, familiare. Perché la famiglia è il tema portante di questa pellicola, e perché quando un demone infesta un ambiente familiare è davvero difficile mantenere distacco e lucidità.
di Luna Saracino