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Festival Internazionale del Film di Roma 2014: The Knick

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Festival Internazionale del Film di Roma 2014: The Knick

The Knick - Clive Owen

The Knick – Clive Owen

Clive Owen presenta la serie firmata da Steven Soderbergh

Se reinventare un genere abusato come il medical drama vi sembra impossibile, attendete il prossimo 11 Novembre, data in cui The Knick debutterà su Sky Atlantic: dovrete ricredervi. Certo, il trucco c’è: se ad avvicinarsi al piccolo schermo è Steven Soderbergh, le aspettative non possono che essere soddisfatte.

La serie in 10 episodi (già rinnovata per la seconda stagione) è ambientata nella New York dell’inizio del ‘900, all’interno dell’ospedale Knickerbocker: è l’epoca in cui, i numerosi progressi della medicina, sono accompagnati da un alto tasso di mortalità dovuta soprattutto ai dissidi tra i medici ancorati alla tradizione e i sostenitori della chirurgia sperimentale. Dopo la morte del Dr. J.M. Christiansen (che tormentato dal pensiero dei numerosi pazienti che non è riuscito al salvare, si toglie la vita) il consiglio di amministrazione decide di affidare la guida dell’ospedale al giovane John Thackery, imponendogli come vice il medico afroamericano Algernon Edwards. In un periodo di fortissime tensioni razziali, quest’ultimo viene trattato duramente dallo staff composto di medici bianchi nonostante la sua incredibile preparazione.

The Knick è stata presentata questa mattina al Festival del Cinema di Roma. Nel cast Matt Frewer, André Holland, Juliet Rylance, Eve Hewson (figlia di Bono degli U2) e Clive Owen, protagonista assoluto nel ruolo del Dr. Thackery: un personaggio controverso, rispettato professionista di giorno, cocainomane e abituale frequentatore di bordelli di notte. Owen ha incontrato la stampa questo pomeriggio.

  • Come ti sei avvicinato a questo progetto?

«Pur non avendo mai lavorato con Steven [Soderbergh] lo conoscevo e ho sempre ammirato il suo lavoro. Era un periodo in cui non avevo voglia d’impegnarmi in progetti a lungo termine ma lui ha chiesto di leggere la scenggiatura: quando l’ho fatto, ho accettato subito. Ero attratto sia dall’ambientazione, la New York dei primi del ‘900, che dal mio personaggio arrogante, tossico e razzista. A proposito di quest’ultimo aspetto c’è stata molta ricerca: non esistevano davvero ospedali disposti a curare le persone di colore.

  • Ha tentato di rendere Thackery “simpatico”?

«Con personaggi come lui bisogna muoversi “sul filo”: lui per natura non è simpatico. Ho cercato di calarmi nei suoi panni, per capire fin dove potessi spingermi. Per quello che riguarda la sua vita mi sono ispirato, tramite un libro, a un medico realmente esistito: il chirurgo americano William Halsted che le droghe le utilizzava davvero. All’epoca la cocaina non era considerata una vera e propria droga, veniva utilizzata negli ospedali come antidolorifico o tranquillante. Poi hanno iniziato ad abusarne anche “gli addetti ai lavori” e i suoi effetti stupefacenti si sono palesati. Basta guardare la vita di Thackery: ogni scena viene alimentata dalle ripercussioni della droga sulla sua quotidianità.»

  • Perché le serie televisive sui medici piacciono ancora così tanto?

«Il connubio “ospedali = successo” è semplice da spiegare: la posta in gioco è alta. O si salva qualcuno o lo si uccide. Aggiungo che, quello affrontato da The Knick, è un momento fondamentale nella storia della medicina: all’inizio del ‘900 si facevano progressi minimi ma rapidi.»

  • Steven Soderbergh non è qui: quello che colpisce di più di The Knick è la violenza delle immagini. Le operazioni sembrano vere, c’è molto sangue. Secondo te per quale motivo ha deciso di mettere in evidenza quest’aspetto in una serie in costume di altissima fattura?

«Non posso parlare per lui ma ci siamo confrontati su molti argomenti e mi sento di poter dare qualche indicazione: volevamo essere fedeli all’epoca in tutto e per tutto. La scena iniziale del parto è un modo di “dare il benvenuto al ‘900”. A quell’epoca si operava davvero così: c’era molto sangue, molti morti e molto da sperimentare per quello che riguarda le tecniche chirurgiche. Bisogna riconoscere a Steven anche altri meriti: la veridicità delle immagini è data da alcune sue scelte precise come quelle di non utilizzare la CGI, di occuparsi personalmente di luci e montaggio e di affidarsi a una squadra che lavora con lui da anni e che sa bene cosa vuole. Steven non “gira” la scena di un intervento: lui vuole l’intervento. Sul set si muove in modo da trovare la prospettiva perfetta che permetta a chi guarda di vivere quell’operazione come se si stesse svolgendo realmente.»

  • Il mestiere di attore: come vivi il mezzo televisivo tu che vieni dal teatro?

«È vero, ho iniziato con il teatro e ho avuto la fortuna di frequentare la Royal Academy. Poi ho fatto una cosa molto importante per la BBC e sono approdato al cinema. In realtà quello che m’interessa come attore è il soggetto: se è buono, non ho problemi ad utilizzare un mezzo piuttosto che un altro. Che poi è quello che è successo con The Knick: in condizioni normali non avrei ceduto, perché non amo soffermarmi su un personaggio a lungo e rivelare tutto di lui. Però è quello che il linguaggio seriale impone. Ma il tempo può anche trasformarsi in un vantaggio: in tv è dilatato e ti permette di scavare a fondo nel ruolo. E poi come autore puoi permetterti di correre dei rischi, in termini creativi, che al cinema non sono consentiti. Ho accettato questa proposta perché mi sono davvero innamorato del copione.»

  • Per quanto riguarda il cinema c’è un regista italiano con il quale ti piacerebbe lavorare?

«Credo che La Grande Bellezza sia uno dei migliori film degli ultimi anni, almeno stando a quello che vedo in giro: se c’è qualcuno in cima alla mia lista, è sicuramente Paolo Sorrentino.»

di Lucia Gerbino