Marito e moglie uniti da un sentimento d’amore reciproco e più maturo dopo l’omicidio della figlia
“Volevo raccontare la storia di come raggiungere un reciproco e più maturo sentimento d’amore attraverso la vicissitudine di provare un dolore e una gioia immensi”. Così Nils Malmros, uno dei più importanti registi danesi, commenta ed introduce il suo ultimo film “Sorrow and Joy”, presentato al Festival Internazionale del film di Roma. Dolore e gioia appunto segnano la vita dei protagonisti di questa storia autobiografica come se si possa giungere alla seconda, ovvero alla serenità e all’equilibrio, soprattutto dopo aver provato una grossa esperienza traumatica, “metabolizzando” la quale si può riscoprire tutta l’importanza di un sentimento vero ed importante quale l’amore, vedendolo in maniera più matura e più complessa, nella sua molteplicità di sfaccettature. L’amore vince su tutto e non c’è delitto (neanche l’omicidio di una figlia) che possa ostacolarlo; resiste al tempo, e l’intensità può rimanere immutata o aumentare: se si è stati in grado di essere vicini alla persona amata nei momenti peggiori, nella sofferenza più atroce, nella disperazione, lo si potrà continuare ad essere nella condizione di normalità. Già, ma che cos’è la normalità? Forse ciò che è ritenuto più eticamente corretto poiché risponde meglio ai principi morali dettati dal sentire e percepire comune e dalla legge civile, ma non da quella del cuore. Le dimensioni spazio temporali qui si fondono fino a diventare impercettibili: passato, presente e il futuro sono tutte parti integranti della persona e della sua personalità. Un viaggio all’interno quasi della psiche umana e del percorso formativo e riabilitativo di una donna malata, affetta da compulsione maniaco depressiva che arriva a uccidere la cosa che ama più al mondo: la figlia, la piccola Maria; delitto definito “un atto liberatorio” (dalla sofferenza psicologica ndr). Sorprende la lucidità d’analisi con cui certe problematiche psicotiche vengono affrontate: sia dalla donna stessa, Signe, che dal marito Johannes, quasi terapeuti di se stessi. Entrambi riescono a tradurre bene in parole (sia oralmente che all’interno di lettere scritte) i meccanismi mentali che scattano. Contemporaneamente sembra ci sia quasi l’invito a non giudicare dicendo che “è troppo facile beffeggiare gli altri”. A rendere il tutto più interessante è che il protagonista maschile è un regista di film: il cinema che parla del cinema (“ed è strano perché tutto sembra simbolico”, spiega Johannes/Nils) per fare “un film su come imparare ad amare”: la richiesta di Signe. Ed è arrivato. Ed è soprattutto il coraggio di mettersi in gioco raffigurando una storia autobiografica così delicata. “Ora che mia moglie è andata in pensione e mi ha dato i diritti d’autore –spiega Malmor- ho deciso di fare il film. A distanza di tempo, nello stesso, i due si ritrovano e passano una giornata insieme: fisicamente lui è invecchiato, lei no poiché vedo mia moglie sempre uguale; lui non è cambiato caratterialmente, mentre lei sì: è diventata una donna felice”. Comunque resta il fatto che l’amore non subisce le influenze del tempo. Importante, poi, nel film è l’aspetto della “vulnerabilità”, evidenzia Helle Fragalid (che interpreta Signe); “per questo –aggiunge- ho deciso di non fare tanto, quanto piuttosto di lasciar fare affidandomi alla regia di Niels?”. E allora in quale modo riuscire a recitare ed interpretare il regista e sua moglie? Sia Helle che Jakob Cedergren (nel ruolo di Johannes), spiega quest’ultimo, hanno cercato solamente di immedesimarsi nei personaggi senza pensare che dovessero rappresentare Niels e Signe. Entrambi gli attori hanno voluto sottolineare che è “la condivisione della responsabilità e delle colpe a farne una delle storie d’amore più vere. La vita e l’amore sono complessi e Malmor è riuscito a mettere insieme tutti gli aspetti a più livelli”. A proposito è emblematico un monologo di Johannes-Codergren: “se Maria fosse morta quando sono caduto dalle scale con lei in braccio, che colpa avrei io? Quello che faccio io nel sonno non è molto diverso da quello che fa Signe nel suo stato psicotico”. Per tale motivo non conta l’estetica, ma sono fondamentali le sensazioni, i sentimenti, anche nella scelta di chi reciterà, spiega il regista. “Quando abbiamo iniziato a fare i casting, avevamo deciso che gli attori non dovevano necessariamente assomigliare fisicamente a me e Signe, ma dovevano sapere recitare le parti difficili di me e mia moglie. Signe non ha partecipato alla sceneggiatura, ma al casting sì, ed ha scelto Helle per il suo ruolo per la dolcezza. Finora ho fatto 11 film e tutti tranne uno sono autobiografici, sono ricostruzioni della mia vita. In questo Signe dice che non vedrà il film, ma in realtà l’ha visto ed ha pianto nei momenti più profondi e commoventi. Ha detto che è stata una vittoria per noi”. Sicuramente un’esperienza liberatoria…alla ricerca del passato e del tempo perduto potremo dire.
Filmografia:
“Tree of knowledge” (1981), selezionato per il Film Festival di Cannes del 1982.
“Beauty and the beast”, selezionato per il Film Festival Internazionale di Berlino (1983).
“Arhus by night”(1989).
“Pain of love” (1992), selezionato alla Berlinale.
“Barbara” (1997), nominato per il Golden Bear a Berlino.
“Facing the truth” (2002).
“Aching hearts” (2009).
di Barbara Conti