Cinque disadattati organizzano la rapina della vita, ma la strada del successo è dura
Un film che scorre rapido e divertente sullo schermo senza pause, prendendosi solamente una pausa per una sigaretta di non più di cinque minuti. Così nasce “Take five” di Guido Lombardi. Un po’ thriller malinconico, un po’ commedia nera è la storia di cinque “irregolari”, come li definisce il regista, cinque persone comuni, disadattati in cerca di riscatto, di successo, di fama e di gloria che ricercano organizzando una rapina. Nel furto del secolo, per così dire, qualcosa andrà storto. Così facendo egli racconta cinque “solitudini”, che vengono ad unirsi solamente estemporaneamente ed in maniera superficiale, ognuno preso dai propri interessi e dai propri problemi. «Ho voluto raccontare un tempo, una società dove le persone sono sole, ossessionate, depresse. Dove i soldi, il successo, la fama rappresentano l’unica forma di riscatto da un anonimato altrimenti giudicato insopportabile». Un’insoddisfazione recondita da compensare con il denaro, ritenuto: “l’unica cosa per la quale valga la pena vivere”, spiega Lombardi. Non manca nulla del gangster movie: pistole, sangue, omicidi, vendette, soldi, tradimenti, corruzione, il gioco d’azzardo e il pocker, le scommesse, neppure l’innocenza di un bambino che cerca di barcamenarsi e difendersi in questo mondo minaccioso e la disperazione quasi di una donna che vende il proprio corpo per denaro nella speranza un giorno di sistemarsi e fare una vita più tranquilla, sognando il matrimonio. Il tutto con uno sguardo disilluso di gangster in…accappatoi. Mai prendersi troppo sul serio, sembra essere il monito del regista. Quest’ultimo vuole bene ai suoi personaggi e si sente, non cela una vena malinconica e melodrammatica, a tratti commovente, con la consapevolezza che quello della criminalità organizzata è un circolo vizioso e pericoloso da cui si potrebbe uscire solamente da morti: “Io conosco bene i tunnel ed è facile perdersi”, dice Carmine.
«Ho scritto la sceneggiatura pensando a loro; tutti gli attori che ho scelto hanno un carattere e una personalità forti. Le riprese sono durate sei settimane, ma sono state precedute da altre quattro; un periodo di prove in cui, utilizzando solamente lo studio fotografico di Sasà, ognuno di loro ha dato il loro contributo di battute, rendendo il tutto più sentito, partecipato, naturale, spontaneo e genuino dando un’impronta di veridicità e realismo», ha spiegato il regista Guido Lombardi. «Particolare attenzione e difficoltà -prosegue- ha richiesto la fase di montaggio, in cui sono stato affiancato magnificamente da Annalisa Forgione (AMC). Per mesi abbiamo lavorato per trovare il tono giusto per questo film che oscillava tra due poli opposti, dal comico al drammatico-tragico. Anche la musica è un mix di generi: c’è ad esempio un omaggio esplicito voluto a Morricone, ai film western, altre musiche sono alla Rocky Balboa. La scelta delle musiche è stata difficoltosa quanto eccezionale. È complicato fare gangster movie come questo, che chiamerei più spaghetti gangster movie. Per tale motivo in Italia questi erano gli unici cinque attori a poter interpretare questi ruoli, anche per il passato criminale che alcuni di loro avevano avuto. Sganciandosi dalla chiave di tematica sociale e liberando la fantasia man mano che la storia procedeva, poteva comportare che fossero fuori luogo, invece si sono dimostrati dei veri attori». «Tre dei cinque hanno vissuto esperienze di gangster, è un mondo duro; ciò è un valore aggiunto poiché diventa un punto di vista interno. Io e Guido stavamo scrivendo un romanzo quando abbiamo avuto l’idea del film. Ad un certo momento apparve Lanzetta e il regista disse ‘ecco, già abbiamo ‘O Sciomèn’. Poi c’è stato tutto uno scambio inconsapevole istintivo. Volevo che fosse un prodotto doc, originale, cioè in cui i protagonisti non dovevano essere gregari di nessun altro. Il regista è stato molto abile e coraggioso nel difendere fino in fondo i suoi attori. Poteva averne altri di calibro e di spessore, ma ha voluto loro», ci tiene a sottolineare Gaetano Di Vaio, (coproduttore e interprete del ruolo di Gaetano). Ed è proprio Peppe Lanzetta (alias ‘O Sciomèn) a raccontare l’aneddoto del primo incontro: «Il giorno in cui ci siamo incontrati alla Fnac di Milano venivo dal mare; mentre salivo le scale mobili, vestito del mio costume verde, vidi che Guido mi guardò e disse ‘è lui (‘O Sciomèn ndr)».
Infine una nota sul titolo. «‘Take five’ è un classico della musica jazz del Dave Brubeck Quartet del 1959. Era un’espressione –spiega Lombardi- che usavano per prendersi cinque minuti per fumarsi una sigaretta, come fosse un concerto di cinque strumenti, cinque assolo che suonano in armonia per poi prendersi la loro pausa, appunto finché non c’è l’intervallo in cui Sasà si fuma la sigaretta e viene messa quella canzone. Come fosse un film senza pausa che si prende una pausa in una delle città più jazz d’Italia: Napoli. Abbiamo lavorato molto su Napoli». «Non ho fatto mai né l’operaio di fogne né il criminale, è stato un po’ un mettermi alla prova, un lavoro molto intenso e faticoso attraverso cui abbiamo scoperto un mondo sotterraneo di Napoli stupendo, anche vivendo nell’acqua e nell’umidità», aggiunge Carmine Paternoster, che interpreta Carmine. «Io ad esempio ho dovuto fare un lavoro durissimo: fare palestra, box, allenarmi tutti i giorni, rasarmi i capelli, dimagrire di 7 chili», prosegue Salvatore Ruocco (che recita il ruolo di Ruocco). «Pensate che –svela Salvatore Striano (nella parte di Sasà)- Guido (Lombardi, il regista ndr) mi fece correre coi pesi addosso poiché diceva che avevo troppo entusiasmo, finché il tono e il timbro della voce non cambiarono dalla fatica».
di Barbara Conti