Cristina Comencini presenta in Concorso al Lido la sua ultima fatica ma non conquista i favori della stampa
“Le donne sanno perfettamente cos’è la maternità ma non la raccontano. Alla base di tutto c’è una profonda ambivalenza che determinata la natura del legame con un figlio. Da una parte lo si ama profondamente, dall’altra si è coscienti di aver perso la propria identità e questa consapevolezza arriva come un colpo da cui non è facile riprendersi. L’istinto materno, poi, non è altro che una sorta di leggenda inventata dagli uomini e dalle donne per rassicurarsi, in verità la maternità la impari giorno dopo giorno.” La regista Cristina Comencini introduce con queste parole la tematica al centro del suo Quando la notte, film tratto dall’omonimo romanzo pubblicato da Feltrinelli e presentato in Concorso alla 68.edizione del Festival di Venezia. Divisa da sempre tra scrittura letteraria e linguaggio cinematografico, la regista non è certo nuova all’adattamento per il grande schermo di un suo romanzo ma questa volta, più che mai, sembra aver mancato la possibilità di attirare l’attenzione su una problematica interessante dando alla luce un’opera fastidiosamente didascalica nella tecnica come nell’espressione. Inserita all’interno di una sezione ricca di percorsi cinematografici dalle intense evocazioni, la storia di Marina, madre pericolosamente in affanno di un bambino di due anni, e di Manfred, uomo rude dai misteriosi silenzi, non riesce a confrontarsi con autori capaci di creare l’incanto di un’emozione senza ricorrere all’artificio evidente della costante messa in scena. Quindi, complice anche un certo manierismo estetico e una scelta narrativa a tratti scolastica, il film viene accolto con chiaro dissenso dalla stampa. Una disaffezione dovuta sicuramente alla metodologia di racconto utilizzato e all’impiego della coppia Pandolfi/Timi in un contesto spesso simbolicamente ridondante. Alle critiche rivolte durante l’incontro con la stampa la Comencini risponde: “Credo che il film abbia tre momenti particolarmente emotivi ma, purtroppo, ai festival le emozioni non vengono accolte con facilità.”
di Tiziana Morganti