Storie di coppie e di altri disastri
In un appartamento nel cuore di Brooklyn due coppie sembrano affrontare fin troppo civilmente lo scontro che ha visto coinvolti i loro rispettivi figli undicenni in un parco giochi. L’aggressione di Zakarian ai danni di Hetan viene sviscerata fin nei minimi dettagli, analizzata e quasi contrattualizzata dai comprensivi e pazienti coniugi Longstreet che, senza il benché minimo cenno d’ira parentale accolgono con malcelata magnanimità le scuse dei mortificati Nancy e Alan Cowan, genitori del piccolo imputato. Ma non tutto è esattamente come sembra, così sotto una facciata moderatamente elegante e altrettanto misuratamente intellettuale, le due coppie nascondono un turbinio di sentimenti capaci di trasformare una semplice rissa pre-adolescenziale in uno scontro in grado di mascherare l’inganno celato sotto la verosimiglianza delle loro maschere quotidiane. In questo modo, con un viaggio tragicomico all’interno della coppia appartenente ad una certa borghesia americana, il Festival di Venezia mette momentaneamente da parte il clamore hollywoodiano scatenato dall’arrivo in laguna di George Clooney per dare spazio al cinema della sostanza che porta la firma di Roman Polanski. Tratto dalla piecè teatrale Il dio della carneficina di Yasmina Reza, Carnage mette in scena uno psicodramma di gruppo in cui la narrazione, a prima vista caratterizzata da una leggerezza di toni e atmosfere, evolve in uno scontro a quattro dove l’ironia caustica si fa carico di sedurre il pubblico e di condurlo, senza allarmarlo con intenzioni emotivamente minacciose, nel cuore di un cataclisma sociale e generazionale. Imprigionati tra le mura di un appartamento con vista su Manhattan, i benestanti Kate Winslet e Christop Waltz affrontano in un testa a testa culturale e comportamentale i radical chic Jodie Foster e John C. Rielly, danzando la loro performance al ritmo sostenuto di un allegro andante. Eppure, nonostante l’utilizzo di un cast nobile ed una sceneggiatura capace di caratterizzare l’universo delle sue creature con oggetti e comportamenti ben definiti, è l’inconfondibile tocco di Polanski a dare ordine e senso al caos. Coraggiosamente il regista accetta il comando di un’impresa potenzialmente pericolosa, riuscendo a governare variazioni emotive in continua e spasmodica evoluzione. Con una certa perfidia artistica sottopone i suoi protagonisti a vivere più che a rappresentare, impone loro dei limiti spaziali ben precisi per poi guidarli al limite della follia. Il tutto senza rinunciare ad un seducente gusto per il ridicolo di cui il mondo adulto sembra essere abbondantemente dotato.
di Tiziana Morganti