La follia omicida di un amore cieco e passionale, ossessivo
Una tragedia greca che presto assume i tratti del Western. Così il regista Laurent Laffargue descrive e connota il suo film “Les rois du monde”, con la straordinaria interpretazione di Eric Cantona, ex calciatore che già aveva recitato in “Il mio amico Eric”. Qui viene portato all’estremo l’amore passionale tragico, con un sentimentalismo condotto ai massimi termini, con toni persino patetici, che diventa una forma di dipendenza ossessiva e ossessionante. Amore e tragedia vengono ad incontrarsi così come vita e morte. Se si instaura un triangolo amoroso principale molto pericoloso è perché qui va in scena l’amore nero, violento, animalesco, carnale e di una passionalità feroce, che nulla ha di tenero e dolce. Ogni sentimentalismo positivo è annullato. E se inizialmente poteva sembrare una rappresentazione a tutto tondo, anche interessante, dell’amore, presto ci si rende conto che si sta degenerando verso un modo di amare perverso e degradato, ossessivo, patologico; tanto che uno dei protagonisti, Jeannot, prima finisce in carcere e poi in manicomio. Tutto per aver ammazzato gli amanti della sua amata Chantal, femme fatale, diabolica anche lei, luciferina nel suo sedurre e abbandonare il partner, divisa (senza saper scegliere) tra due uomini apparentemente diversi, ma poi uniti dalla stessa violenza e ferocia omicida, dalla stessa rabbia esplosiva e incontrollata. Due innamorati, però, così fragili, pur nell’aggressività estrema che mettono in atto per difendere la loro amata, perché dipendenti da questa donna non in grado di gestire tanto prestigio. Una donna oggetto di contesa tra due spasimanti e contendenti: una guerra senza senso perché si concluderà senza vincitori né vinti. L’amore non è vanità, perché quest’ultima porta alla fine di ogni legame sano ed equilibrato. Interessante quanto vi sia un altro triangolo sentimentale speculare con tre giovani che fanno da eco ai tre protagonisti adulti e con le stesse personalità. L’amore uccide, fa male, ferisce, deprime e reprime ogni emozione positiva, sembra quello che ne resta.
Davvero tanta, troppa brutalità, rende una visione dell’amore negativa, senza nessuna traccia di un sentimento sincero, genuino, costruttivo e positivo: c’è dipendenza, non unione sana. A parte le scene molto forti che a volte appaiono, c’è solo un amore cieco che conduce alla pazzia. Una follia omicida disperata, una gelosia eccessiva, miope, ingestibile per un senso di giustizia davvero distante dalla ragion comune: la donna è come un oggetto che si possiede. Non è una visione che renda onore e merito alla femminilità, di cui c’è ben poco se non una spudorata, eccessiva sensualità, a tratti non elegante, ma volgare perché guarda solamente all’attrazione fisica e non a un sentimento arricchito da altri connotati che non siano solamente prettamente fisici, ma anche intellettuali. Non c’è affinità e fascino, ma solamente spudorata attrazione; la donna non è venerata, rispettata, osannata, ma deve stare alle strette dipendenze dell’uomo che comanda su tutto. Non può rifiutarsi, dire di no, non presentarsi quando viene richiesta: deve aspettare e basta. E non è nemmeno in grado di proteggere l’uomo che ama, ma porta solamente guai.
Francamente troppo negativo, senza neppure lasciar intravedere uno spiraglio di redenzione. Il regista prende spunto narrativo dalle tragiche vicende di cronaca su stalking e violenze carnali sulle donne e da omicidi a sfondo sessuale. L’amore rappresentato dal film è malato, ed è fatto di donne che subiscono le aggressioni psichiche e fisiche tra le mura domestiche e di uomini violenti. È una storia di donne succubi, sottomesse, che perdonano sempre ritornando da colui che le ossessiona manipolandone i pensieri e la mente. Come se Chantal senza questi due spasimanti, disperati anche loro, Jeannot e Chichinet (Eric Cantona) non fosse nulla.
Tutti vogliono fuggire, ma Chantal, nonostante il suo fascino indiscusso, sembra essere una strega che porta malora, l’uccello del malaugurio, altro che donna angelo o musa o fata. Non a caso veste sempre abiti seducenti, attillati, provocanti, con tonalità sgargianti e vivaci, in particolare il rosso: il colore del sangue. Se questa seconda visione sembra, a nostro parere, reggere di più, allora con più coerenza si sarebbe dovuto maggiormente indagare e puntare sull’amore malato, che uccide. Con maggiore coerenza, come in “Gone girl”, in questo un vero e proprio thriller non meno violento e drammatico o tragico, ma più in linea con un filone di deviazione del sentimento verso un degrado morale che ne annulla ogni umanità, ma ne mantiene in vita solamente la brutalità più bassa e animalesca, infima. La donna non è un bottino da guerra da conquistare, la preda da aggiudicarsi, come sembra far intuire il film.
L’amore non eleva, ma conduce alla perdizione. Non porta benefici neppure alla comunità, che ne viene minacciata nella sua incolumità e nel benessere. Se non fosse per l’interpretazione di Eric Cantona, che dà un valore aggiunto al film, si direbbe che si è sfiorato un degrado morale preoccupante ed eccessivo. Nella titolazione tradotta in inglese infatti è stato inserito un mad, folli, in “the mad kings” (i re matti) ad indicare l’autodistruttiva degenerativa di un sentimento puro e nobile. Puntare sulla denuncia sociale, oppure connotarlo meglio in un altro genere cinematografico, avrebbe giovato al film. Peccato, ci sembra un’occasione mancata per parlare di un tema importante e non vederne solamente l’aspetto depravato, senza possibilità di cambiamenti o risvolti positivi, e senza dare la speranza di una soluzione positiva. Si sceglie per ben due volte la morte alla vita; di figli se ne parla solamente in maniera distratta. Allora uccisioni per uccisioni, perché non affrontare il tema della giustizia e di una legislazione che forse tutelano poco le donne vittime di stalking?
di Barbara Conti