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The Museum of Wonders. Il museo delle meraviglie di Domiziano Cristopharo

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The Museum of Wonders. Il museo delle meraviglie di Domiziano Cristopharo

the-museum-of-wondersNani, freaks of nature, storpi. Ma anche forzuti e donne bellissime. Ovvero, quando la bellezza reale non è quella apparente

Grottesco. Burlesque. Inquietante. Mistico.

Questo è molto altro ancora è The Museum of Wonders, l’ultimo “pargoletto” nato dalla geniale mente di Domiziano Cristopharo, attivissimo regista indipendente italiano molto amato e apprezzato (a ragione) all’estero e tristemente dimenticato a volte (a torto) nel nostro caro Belpaese. C’è che Domiziano è un regista scomodo, sincero, senza clichè, fronzoli o peli sulla lingua. C’è che i suoi film sono crudi, diretti, privi di edulcoranti, aperte finestre sul tragico mondo contemporaneo che i registi continuano a trattare con superficialità, ma che Domiziano intende invece rappresentare in tutta la sua estrema crudeltà. Tant’è ma poco importa, visto e considerato che non mancano di certo gli attori italiani che continuano a credere in lui: grandi attori come Maria Rosaria Omaggio, Venantino Venantini, Maria Grazia Cucinotta, Giampiero Ingrassia o Francesco Venditti, che hanno intepretato per l’occasione, le bizzarre attrazioni del circo più freak del cinema. Se con House of flesh mannequins il giovane ed eclettico regista romano è riuscito a rappresentare con estrema intensità una forte critica all’esposizione dei corpi della nostra società (corpi mutilati, corpi straziati, corpi distrutti), con The Museum of Wonders, progetto scritto a quattro mani con Elio Mancuso (Cristopharo ha curato il soggetto, Mancuso la sceneggiatura), Domiziano ci racconta la paura della diversità e il timore di ciò che non conosciamo, sentimenti che appartengono intimamente al mondo contemporaneo, mettendo nuovamente in scena il corpo umano, quello deforme, quello perfetto, dimostrando come spesso la cattiveria è insita lì dove non si vede. Molte le citazioni presenti nel suo film: rimandi aulici, forse, rievocazioni più che citazioni, raccordi immaginari che lo stesso regista ha deciso di realizzare con alcuni dei grandi classici della storia del cinema, da Freaks fino ad arrivare al cinema muto di Frank Capra e al grottesco cinema di Peter Greenway. Il suo film appartiene, in effetti, ad un cinema grottesco, che a volte sfocia nell’horror per poi tornare nel melodramma, che racconta la realtà con un occhio cinico, intenso, disincantato, ma che allo stesso tempo rappresenta la realtà stessa come fosse parte di un sogno, un sogno inquietante, un sogno spaventoso, un sogno dal quale ci si vorrebbe svegliare al più presto. Forse.

di Luna Saracino

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