Per non smentire questo primato di creatività, la “factory” a gestione famigliare dei fratelli Avati si prepara a presentare l’ultimo nato del 2010, che porta la produzione cinematografica a quota quaranta.
Il figlio più piccolo, distribuito da Medusa dal 19 febbraio con 300 copie, chiude idealmente la trilogia dedicata all’evoluzione ed involuzione della figura paterna iniziata con
La cena per farli conoscere e continuata con
Il papà di Giovanna, ma allo stesso tempo prende le distanze dal racconto nostalgico del passato che ha spesso caratterizzato lo stile di Avati. Pur non volendosi calare in un film di denuncia, il regista bolognese guarda alla realtà dei nostri giorni con una certa disillusione evidenziandone limiti e mediocrità. “
Ho sempre pensato che prima di criticare gli altri avrei dovuto fare un lungo passaggio davanti allo specchio ed osservare la mia esistenza – dichiara Avati –
ma il presente è diventato tanto indecente con la sua volgarità e la scorrettezza praticata nell’assoluta indifferenza, da far insorgere anche una persona come me.“ Questa nuova tragicommedia, interpretata da Laura Morante, moglie sedotta e abbandonata, Luca Zingaretti nei panni di un commercialista mistico, un inedito Christian De Sica finalmente riscattato al cinepanettone e dalla rivelazione Nicola Nocella fresco di Centro Sperimentale, si nutre di una crudeltà nuova per il cinema di Avati anche se assolutamente necessaria. “
Voglio ricandidare l’innocenza, anche la più idiota. Dobbiamo buttare all’aria la nostra attuale scala di valori ed ritornare ad affrontare il mondo con lo sguardo fiducioso senza vergognarsi di essere ingenui e di voler credere ancora negli altri. Fino ad oggi i miei film hanno guardato molto al passato, ma da questo momento le cose cambieranno. Ho intenzione di concentrarmi molto di più sul presente, che
dovrebbe essere sorvegliato e sempre al centro della nostra attenzione proprio perché così preoccupante.” L’indignazione di Avati si scaglia contro un modus vivendi attuale che ha sdoganato la figura del “furbetto del quartierino”, ossia una nuova forma di scalatore sociale totalmente amorale ed incosciente. La cronaca italiana di questi ultimi anni ha ispirato abbondantemente la vicenda de
Il figlio più piccolo, che racconta le vicissitudini di una normale famiglia soggiogata dall’ansia di arrivare di un uomo egoista, gretto e senza alcuna possibilità di redenzione. Christian De Sica veste i panni di un imbroglione piccolo borghese che, dopo aver sposato la madre dei suoi figli ed essersi fatto intestare le sue proprietà, sparisce per poi divorziare. Senza credere nella cattiva fiducia del marito, la donna continua ad amarlo ciecamente, crescendo il figlio più piccolo nell’illusoria aspettativa di un padre che non esiste. Al di la dei toni del tutto nuovi con cui Avati porta avanti questa storia, la novità più rilevante è rappresentata da un Christian De Sica inedito. Dopo 95 film, il primo girato con Rossellini, il re assoluto del cinema di Natale ha la possibilità di riscattarsi dal suo ruolo di “comicaro”, come lui stesso si è definito. Dopo 26 cinepanettoni ed i 3 milioni di euro in meno incassati dalla premiata ditta De Laurentiis e Neri Parenti, sembra voler riflettere sul suo futuro artistico. “
Sono d’accordo con la critica – ammette –
probabilmente quest’anno qualche cosa non ha funzionato completamente. Forse doveva essere fatto dell’altro, probabilmente dobbiamo cambiare degli elementi. Magari sono io a non avere più l’età per questo tipo di comicità. Sta di fatto, però, che abbiamo guadagnato comunque 23 milioni di euro e queste cifre in Italia non le fa nessuno.” Pur dichiarando eterna gratitudine ad un genere che gli ha concesso notorietà e guadagno, De Sica è decisamente pronto ad esplorare altri panorami. “
Devo ringraziare Pupi per aver creduto in me. Ci conosciamo da più di trent’anni e finalmente mi ha dato questa grande possibilità. Quando fai per tutta la vita il cowboy nessuno ti accetta come Romeo. Lui ha avuto questo coraggio. Spero che il film possa essere un primo passo verso altre esperienze. Ho 59 anni e credo di meritarmelo.”
di Tiziana Morganti