Ungheria, seconda metà del Cinquecento, in una terra devastata da continue battaglie sanguinose per respingere l’invasore turco-ottomano, la società aristocratica è scossa da alcuni inspiegabili eventi.
«Thorko mi ha insegnato una procedura di magia: prendi una gallina nera e percuotila a morte con un bastone bianco. Raccogli il sangue e spargine un po’ sul tuo nemico. Se non hai la possibilità di spargerlo sul suo corpo, procurati un suo indumento e allora spargilo sopra questo. Gli capiterà presto una disgrazia.»…
È il frammento di una lettera scritta dalla Contessa Erzsébet Bathory indirizzata al marito, il Conte Ferencz Nádasdy, eroe nazionale ungherese per le sue spiccate attitudini in guerra, spesso impegnato in battaglia per la difesa del territorio, e molto conosciuto per la sua particolare ferocia contro l’invasore. Questo documento attesta la propensione della contessa verso la magia nera… Ma chi era Erzsébet Bathory?
Nata nel 1560 da una facoltosa e importante famiglia strettamente legata ai regnanti d’Ungheria, riceve un’ottima educazione che le permette già ad undici anni di conoscere e leggere la Bibbia ed il latino, oltre che la storia del proprio Paese. Si sposa molto presto, nel 1575, e nel giro di dieci anni è madre di quattro figli. Vista la continua lontananza del marito, Erzsébet non è assolutamente fedele, e pare che tra i due ci fosse un patto che gli permettesse di essere padroni di giostrare il loro tempo libero purché risultassero marito e moglie nelle occasioni ufficiali e ogni volta che lui fosse rientrato in maniera stabile al castello. Questo equilibrio particolare crea una sintonia morbosa tra i due, testimoniata da lettere nelle quali si raccontano cosa succede nelle loro vite extraconiugali. Erzsébet, tuttavia ha molto tempo a disposizione da impiegare e molta noia da combattere ed è per questo motivo che decide per prima cosa di sperimentare l’amore saffico.
In un secondo momento si accorge di soffrire di violenti cambiamenti d’umore e terribili emicranie che trovano sollievo e pace solo dopo aver picchiato a sangue qualsiasi servitore reo di aver commesso un errore. Nei momenti di solitudine si lancia in ardite discussioni sul piacere che prova ogniqualvolta infligge punizioni sempre più violente, e sono il suo servitore Thorko e le due domestiche Darvéla e Dorottya Szentes a suggerirle che nelle pratiche magiche occulte è contemplata la tortura per il piacere e non per la redenzione, applicata quest’ultima solamente dalla Santa Inquisizione.
Nel giro di poco tempo la Contessa Erzsébet Bathory si informa sugli esperti di magia presenti nel territorio e li invita al castello per poter discutere e per essere iniziata alle pratiche più occulte e sconosciute. Uno stregone venuto da terre lontane le porta in dono una pergamena ricavata dall’amnio, la membrana che protegge il bimbo nel grembo della madre, in cui è scritta una preghiera al dio Isten che promette salute, la lunga vita e la protezione grazie ad un esercito di 99 gatti che si sarebbero materializzati e sarebbero intervenuti per aggredire ed eliminare i nemici quando ce ne fosse stato bisogno.
Dopo la morte del marito, Erzsébet cade in profonda depressione che la porterà, tra l’altro, a desiderare di rimanere sempre giovane e sconfiggere i segni del tempo con ritrovati ed unguenti d’ogni tipo. Ma è sotto consiglio di una fattucchiera che la Contessa scopre che l’elisir dell’eterna giovinezza è il sangue delle giovani fanciulle, e che il contatto con esso può donare la vittoria sull’incedere del tempo.
Per questo motivo sguinzaglia il suo fedele servitore per procurarsi giovanissime donne, con la scusa di offrire loro un lavoro presso il castello. È a questo punto che la Contessa Erzsébet Bathory compie il passo decisivo. La pazzia s’impadronisce di lei e ciò che compirà sarà incredibilmente crudele e sanguinario.
Le ragazze adescate dopo un periodo in cui sono utilizzate come serve, vengono picchiate ripetutamente per inezie, e rinchiuse nelle segrete del castello. La Contessa impartisce ordini ed assiste, ma spesso interviene a percuotere le sventurate. I corpi tumefatti e gonfi sono tagliati con rasoi e bucati con punteruoli, e il sangue che sgorga viene raccolto in bacinelle, perché servirà per emulsioni o addirittura per un bagno in vasca.
Le sparizioni delle fanciulle nei villaggi delle campagne ungheresi nei pressi del castello di Csejthe incominciano a far clamore, anche se i contadini non osarono mai muoversi contro la Contessa, per timore di pesanti repressioni nel sangue, visto il blasone della casata dei Báthory. Ma dopo un omicidio di una giovane fanciulla d’alto rango che la contessa tenta di insabbiare come incidente, Mathias II Re d’Ungheria decide di muoversi.
Nel 1610, a Natale, organizza una spedizione segreta capitanata dal Primo Ministro Thurzo, dal Governatore della regione, da un sacerdote e ovviamente da alcuni soldati, con l’intento di verificare cosa stia veramente accadendo nel castello di Csejthe.
Il viaggio verso la fortezza viene fatto di notte, per usufruire dell’effetto sorpresa, e una volta giunti nei pressi del portone, la squadra è assalita da moltissimi gatti, che tuttavia vengono facilmente scacciati dai soldati. Il castello è completamente deserto, almeno in apparenza, e non c’è nessuna guardia che contrasti la loro avanzata. Nell’oscurità, ciò che gli viene incontro è l’odore di putrefazione che giunge dalle segrete. Trovano incatenata ad una colonna una giovane ragazza torturata, esangue, con segni di violenze, fori e tagli su tutto il corpo. La sua bocca è cucita, ed è cadavere da diversi giorni. In un’altra colonna si trova una ragazza seviziata in maniera efferata: segni di frustate su tutto il corpo, ustioni per cauterizzare le ferite ed il viso è irriconoscibile. Nelle celle ci sono persone e alcuni bambini, per fortuna ancora vivi, anche se hanno segni evidenti di torture pregresse.
Parte del manipolo giunge nelle stanze alte del castello e ciò che gli si para davanti è una scena raccapricciante: un’orgia sanguinosa dove uomini e donne s’infliggono ferite nel mentre si accoppiano. Ma la Contessa non c’è, è fuggita per tempo, anche se sarà catturata pochi giorni dopo.
Il 2 Gennaio 1611, ad un anno di distanza dalla cattura, il processo ebbe inizio, e durò fino al giorno 7 dello stesso mese. Vennero interrogati moltissimi testimoni, addirittura 35 persone al giorno.
Ficzko, un nano che lavorava per la contessa Erzsébet Bathory dichiarò di aver contribuito ad uccidere 37 ragazzine, mentre non ricordava il numero delle donne. Inoltre dichiarò che la Contessa sua padrona, le faceva legare e le pugnalava con punteruoli e forbici. Il nano raccontò le più agghiaccianti torture comprese le 200 frustate per uccidere alcune donne o le vene recise con le cesoie. Inoltre affermò che la Contessa costringeva i suoi stretti collaboratori a cibarsi della carne delle vittime se morivano prima di quanto lei avesse in mente.
Ilona Joo, la balia di Erzsébet Báthory, ammise di aver ucciso circa 50 ragazze, infilando degli attizzatoi incandescenti nella loro bocca e nel loro naso.
In una lettera scritta dal Primo Ministro al Re sono menzionate oltre 300 vittime, mentre sui diari di Erzsébet Báthory sono segnati i nomi di circa 650 persone, ma è una cifra che non convinse i giudici, perché l’attendibilità della Contessa fu messa in dubbio dall’evidente follia della sua mente. In ultimo i Giudici, basandosi sui resti umani riconoscibili trovati al castello, decretarono 80 vittime accertate, condannando la Contessa e i suoi aiutanti, che in seguito vennero torturati ed uccisi in maniera altrettanto brutale delle loro vittime. Soltanto alla Contessa fu risparmiata la vita per rispetto del suo rango, ma fu murata nella torre del suo castello, e non ebbe più alcun contatto con l’esterno né possibilità di parlare con nessuna persona, tanto che fu ordinato di non rispondere alle sue eventuali richieste a chi le passava i pasti giornalieri. Da quella prigione non uscì più viva: tre anni dopo, il 21 agosto 1614, Erzsébet Báthory morì nel silenzio della sua follia, senza aver mai confessato i suoi crimini.
Grazie ad una corrispondenza tra il Conte Ferencz Nádasdy e la Contessa Erzsébet Báthory, tra il Re Mathias II e Primo Ministro Thurzo, al diario di uno dei membri della squadra che penetrò nel castello di Csejthe, e agli atti processuali custoditi in Ungheria è stato possibile ricostruire ciò che avvenne.
In ultimo, tuttavia, non è da dimenticare un aspetto importante che spesso viene tralasciato ma è quasi sempre alla base di molti casi diversi da questo, ma simili per obiettivi: Erzsébet Báthory era una donna molto potente, ereditiera di terre e patrimoni talmente ingenti da poter essere influente nelle sorti di un intera nazione. Il suo cognome prende il prefisso “Bator” che significa “eroe buono” quando un suo avo uccise un drago in un’estenuante lotta, liberando da quell’incubo la popolazione. Ma era sola, e dovette far fronte al cambiamento dei tempi, scegliendo alleanze politiche. Questo la rese per molti anni protetta e forte, ma la espose agli atacchi di altre fazioni allettate dal patrimonio della Contessa, dai possedimenti terrieri e a ricoprire il suo ruolo nella società dell’epoca. Perciò gli atti processuali parlano chiaro, i rinvenimenti paiono certi, le dicerie si fondano sul sentito dire che di generazione in generazione muta e cambia forma… e si sa che niente in quell’epoca era più forte di una condanna per efferatezze miste a satanismo con un’evidente marchio di stregoneria.
Tuttavia la storia ci consegna Erzsébet Báthory come la contessa sanguinaria per eccellenza, con quel suo alone di mistero e di morte, con quel peso di fascino e depravazione, con quella moralità corrotta che ha l’odore di decomposizione… Una figura unica nel panorama storico di ogni tempo.
Di Svevo Ruggeri
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