La cover story dell’album icona dei Beatles
E’ il 1967. Il mondo sta cambiando, le nuove generazioni tentano di districarsi fra antichi retaggi e nuove aspirazioni. La fase più calda della guerra in Vietnam sta per cominciare: le truppe americane sono pronte ad espugnare Saigon. Dall’altra parte del mondo gli animi s’infiammano d’indignazione. I giovani hanno voglia di cambiare, di assicurarsi e assicurare ai propri figli una prospettiva del mondo diversa, che possa sposare a pieno titolo la pace e l’amore tanto decantati dalla cultura Hippie. Sono anni in cui la vivacità intellettuale porta ad una proliferazione dell’attitudine pratica: si pensa, si discute ma soprattutto si agisce. E ognuno lo fa a proprio modo, con gli strumenti che gli sono più congeniali.
Ad esempio c’è chi con una chitarra, un basso, una batteria e genio a profusione riuscì a dare vita a una rivoluzione permanente, di quelle che nessun fucile è mai riuscito a portare a termine. Stiamo parlando dei Fab Four di Liverpool, The Beatles, che proprio in quell’anno sbarcarono nei negozi con il loro ottavo LP: Sgt. Pepper’s Lonely Hearts Club Band. Si tratta di un’opera che stravolgerà i tradizionali canoni musicali: Sgt. Pepper’s, infatti, è il primo concept album della storia, un piccolo romanzo le cui tracce ruotano attorno ad un unico tema sviluppando dunque un vero e proprio racconto. Ma la storia, affascinante e per alcuni versi contorta, comincia ancor prima dell’ascolto..inizia dalla cover. Realizzata su suggerimento di Sir Paul McCartney da Peter Blake e Jann Haworth, la copertina dell’album si apre come un vero e proprio libro mentre sul retro si rintracciano per la prima volta i testi stampati delle canzoni. Queste innovazioni sono solo piccoli dettagli rispetto all’universo ideale ritratto sulla front cover che racchiude, in un vivace turbinio di volti e colori, “una nuova visione del mondo”. I baronetti, vestiti in abiti militari, sono contornati da un nuvolo di stars riprodotte con cartonati a grandezza naturale. Accanto ai musicisti in carne e ossa sono rappresentate quattro statue in cera degli stessi, ma in versione giovanile, che guardano la scritta Beatles quasi a voler mettere in risalto la differenza fra ciò che erano e quello che sono diventati. L’idea di base era quella di creare una nuova prospettiva del mondo partendo però da qualcosa di molto personale, ovvero dalla rappresentazione dei personaggi che i quattro di Liverpool ritenevano più importanti nel loro sviluppo professionale e umano.
Sondando con attenzione i volti sulla copertina si rintracciano (fra tanti) quelli di Albert Einstein, Karl Marx, Lenny Bruce, Marilyn Monroe, Bob Dylan, Lewis Carrol ed Edgar Allan Poe. Ma ci sono anche gli esclusi: nel progetto iniziale Gesù, Adolf Hitler e Ghandi avrebbero dovuto essere parte integrante della foto di gruppo; la EMI però, non tardò a bocciare la proposta memore delle tante polemiche di cui i Fab Four erano soliti rendersi protagonisti. Una cosa che però sfuggì al controllo dell’etichetta furono le frasche verdi alla base del tamburo che, nello slancio dell’atmosfera dell’epoca, furono subito identificate dai “cultori dell’erba” come piante di marijuana ma che invece erano soltanto piantine di peperoncino. Un ulteriore elemento d’interesse è rappresentato dal pupazzo di Shirley Temple (in basso a destra) che indossa una maglietta dei Rolling Stones, tributo che la band di Jagger ricambiò inserendo di nascosto i Beatles nella cover dell’album Their satanic majesties request, in uscita lo stesso anno. Alla EMI toccò poi l’ingrato compito di contattare i personaggi ritratti per chiederne la liberatoria. Nonostante i timori, gli interpellati rilasciarono il consenso ben contenti di apparire sulla copertina. Un aneddoto interessante riguarda Mae West la quale, all’inizio, si rifiutò categoricamente di stare in un “club per cuori solitari”, come essa stessa lo definì. Ma come si sa, la vanità è il tallone d’Achille delle stars: bastò infatti che i Beatles scrivessero alla West una lettera dal tono venerante, per far sì che la donna abbandonasse ogni esitazione e decidesse di cedere alla tentazione di entrare a far parte del “club”.
La copertina di Sgt Pepper’s coincise inoltre con la nascita della leggenda, alimentata negli anni dagli stessi Beatles, secondo la quale Paul McCarney era da tempo deceduto in un incidente automobilistico (storia che troverà la sua massima fama con l’album Abbey Road). La cover riporta tanti indizi (forse troppi) in questo senso: sul retro copertina uno scatto dei Fab Four con il solo McCartney di spalle; tra le statue di cera Paul è l’unico vestito interamente di nero; la composizione di fiori, sotto la scritta Beatles, raffigura un basso ma con solo tre corde anziché quattro; nella foto interna Paul ha uno stemma sulla manica con la scritta O.P.D., ovvero Officially Pronounced Dead (ufficialmente defunto).
Leggenda o verità, astuta operazione di marketing o meno, è fuor di dubbio che la copertina di Sgt. Pepper’s (eletta da un sondaggio della rivista Rolling Stone la più bella copertina della storia del rock), ha rappresentato uno spartiacque rispetto al passato, un nuovo universo in cui l’attitudine musicale incontra le inclinazioni di quattro ragazzi che hanno segnato le sorti delle successive generazioni con le uniche armi a loro disposizione: una scala a sette note supportata da un’eccezionale dose d’ingegno e originalità.
di Maria Elisabetta Filod’oro
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