La famiglia italiana, che sia monoreddito o monogenitoriale, numerosa o composta da pensionati soli, che abbia un mutuo impegnativo o sia in affitto, ha vissuto un altro anno di crisi. Economica.
Avanza una situazione nuova e preoccupante: il “lavoratore medio”che non ce la fa ad arrivare a fine mese, quello a cui restano solo 200 euro mensili per fare la spesa per tutta la famiglia. Si chiamano working poor. In Italia la percentuale di lavoratori poveri continua a mantenersi tra le più pesanti in Europa, con il 10% degli occupati che vive al di sotto della soglia di povertà relativa, due punti percentuali al di sopra della media Ue-25, alla pari con Lettonia e Portogallo”.
Una crisi di fiducia e di prospettive mina il Paese nelle sue fondamenta. Il 67,8 % degli intervistati sono preoccupati dall’idea che nel corso del 2010 un proprio familiare possa perdere il lavoro e per l’8,8% del campione lo spettro della disoccupazione si è effettivamente materializzato nell’ultimo anno. Non sono le solite “lamentele” degli italiani; il rischio è reale come confermano gli ultimi dati sul tasso di disoccupazione, aumentato dall’1,6% all’8,6% nell’arco del 2009. In termini assoluti si tratta di 380mila posti di lavoro in meno.
Se le aree meridionali sono le più colpite, anche il Nord-Est, considerato la zona più ricca d’Italia, ha subito i colpi della crisi. “Le “regioni dei capannoni” e dell’economia diffusa – spiega il rapporto – si attestano allo stesso livello delle aree sotto industrializzate del meridione: il tessuto produttivo italiano, per quanto fitto, non ha retto all’onda d’urto della recessione, cosicché la forza livellatrice della crisi ha accomunato aree del paese molto diverse. Sul fronte delle famiglie che hanno dichiarato di aver tenuto botta alla recessione, nel Nord-Ovest si riscontra la quota più elevata (47,5%): anche in questo caso, la vocazione produttiva del territorio fornisce una buona cornice esplicativa”.
Il vento della povertà si fa sentire quando sono i beni alimentari ad essere tagliati: stiamo parlando di pasta, latte e carne, non certo di beni di lusso.
Una famiglia italiana su tre risparmia sull’acquisto di generi di prima necessità, nell’economia domestica si consolida l’acquisto di prodotti a basso costo e si tira la cinghia sulla cura della propria persona, viaggi e tempo libero. Sforzi spesso insufficienti per mettere da parte qualche risparmio, “facendo scivolare i nuclei familiari verso aree contigue alla povertà”. Uno degli indicatori che ha individuato nel 2009 l’anno nero per le famiglie italiane è proprio la riduzione generale dei consumi.
Affitto, bollette, abbigliamento e beni di base. Ma cosa rimane nel portafoglio? “Alle famiglie è stato chiesto che importo avessero a disposizione una volta pagate le spese fisse – spiega il rapporto realizzato dall’Iref – il 29,2% del campione ha affermato che non rimane nulla; mentre il 23,3% dichiara di avere a disposizione meno di 100 euro; il 36,9% afferma di avere risorse economiche comprese tra i 100 e i 500 euro, infine solo il 10,6% dichiara oltre 500 euro di reddito disponibile”. Sono le coppie a doppio reddito, per il 17,7%, che possono contare su oltre 500 euro al mese, mentre il 46,8% ha a disposizione una somma tra i 100 e i 500 euro. Più o meno nella stessa condizione sono i single occupati. Quando, invece in famiglia c’è un solo reddito aumenta la quota di famiglie che dispongono di meno di 100 euro al mese.
E il governo cosa fa?
Le famiglie intervistate hanno giudicato marginale l’effetto dei contributi statali sul bilancio familiare, inoltre sono stati diretti ad una platea limitata di persone e con una comunicazione scarsamente efficace. Sono le coppie giovani quelle ad essere più informate su bonus, detrazioni e carte acquisti, mentre la quota di intervistati informati si dimezza tra gli over65.
I mezzi di informazione sono quelli mediatici, quasi assente la comunicazione personalizzata.
Lo studio conclude dicendo che sono due i punti da migliorare in merito: una maggiore intercettazione statale delle fasce di popolazione maggiormente bisognose e delle strategie di comunicazione sociale adeguate.
di Ilaria Eleuteri