Sono le cavie umane, per lo più studenti, giovani laureati precari, a volte disoccupati in difficoltà economica.
Medici e ricercatori li chiamano “volontari sani” che usano il proprio corpo come laboratorio in cui sperimentare farmaci prima che siano messi in commercio.
In Italia le loro storie passano quasi inosservate, se non fosse per qualche inchiesta che racconta il business dei volontari nelle sperimentazioni farmacologiche.
Mettersi a disposizione della scienza e del progresso, ma per soldi. E’ proprio questo che spinge circa 1500 italiani ogni anno a sottoporsi a numerosi prelievi di sangue al giorno, analisi delle urine, pressione, elettrocardiogramma, a volte anche monitoraggio cardiaco di 24 ore, prove allergiche e misurazioni di ogni genere per testare nuovi medicinali.
C’è, però, chi sostiene che sia come una vacanza. I laboratori delle case farmaceutiche in Francia, Austria e soprattutto in Svizzera diventano, così, i nuovi “centri di benessere” che coccolano i loro “ricoverati”: alcuni raccontano giorni di relax in clinica, dove mettono a disposizione massaggi, beauty farm, cucina raffinata e piscina di lusso.
Un lavoro a tempo pieno visti gli “stipendi”. I volontari sani, che non temono di prendere per primi farmaci sconosciuti, “guadagnano” fino a 1200 euro.
Negli Stati Uniti, secondo una recente indagine della rivista New Scientist, si può arrivare fino a 300 dollari al giorno, per un totale di 34mila dollari l’anno, quanto un impiego di medio livello in una società. Sostengono sia un rimborso spese perché nessuno vuole che sembri una retribuzione.
Spesso alcune aziende ricorrono a qualche incentivo in più. Ad esempio per testare una medicina contro i disturbi intestinali legati al viaggio si offre ai volontari una vacanza con un’unica condizione: assumere, prima di partire, il farmaco da sperimentare e sottoporsi, durante il soggiorno, a regolari prelievi di sangue nella clinica indicata.
Il dilemma, a questo punto, è sia etico sia sanitario, perché chi si sottopone ai test per mantenersi, spesso, non rispetta le regole di sicurezza, saltando il cosiddetto “wash-out”, il periodo di pausa obbligatoria tra uno studio e l’altro e mettendo, così, a rischio sia la validità della sperimentazione sia la salute.
Altri, invece, non denunciano i reali effetti collaterali che provano perché temono l’interruzione della sperimentazione e una riduzione di compenso.
L’associazione “Citizens for responsible care and research” segnala che tra il 1990 e il 2000 sono stati denunciati 386 effetti collaterali causati durante i test. Una cifra ridotta rispetto alle 17mila reazioni negative l’anno, di cui 800 gravi, registrate dalla “Food and Drug Administration” relativi ai farmaci di nuova approvazione.
In Italia il “reclutamento” dei volontari avviene tramite l’Istituto superiore di sanità e i vari Comitati etici delle Asl nazionali, a differenza dei paesi anglosassoni, dove vengono pubblicati annunci sui giornali. Esistono anche database online e blog di volontari, dove s’incontrano centri di ricerca europei e cavie che confrontano le loro esperienze.
Diventare una “cavia umana” ha anche delle controindicazioni, che si accettano nel momento in cui si firma il consenso informativo. Gli incidenti, spesso, avvengono, ma, per “ovvie” ragioni, sono poco pubblicizzati.
di Valeria Fornarelli