“
Daily Me” era il giornale su misura con notizie preselezionate, con il pericolo di una ghettizzazione dell’informazione e conseguente polarizzazione delle posizioni estremiste. La teoria era stata elaborata da
Cass Sunstein, ora collaboratore di Obama, ma è stata ora smentita dallo studio a base statistica di due docenti di economia della
University of Chicago,
Matthew Gentzkow e
Jesse Shapiro. Tra chi usa il web come fonte di informazione prevale la curiosità che fa andare sui siti di chi non la pensa come te. Sarebbero invece i giornali stampati e la televisione a fornire le informazioni più selezionate a seconda del pubblico a cui si rivolgono. Sono gli stessi Gentzkow e Shapiro a confermarlo. Hanno messo a punto un metodo matematico-statistico per definire il taglio politico dei quotidiani individuando al loro interno la frequenza di alcune espressioni chiave utilizzate prevalentemente dai vari partiti nel dibattito pubblico. L’influenza degli editori è scarsa, mentre incide molto di più l’orientamento prevalente dei cittadini delle zone di diffusione. A una prima approssimazione, secondo i due ricercatori, i giornali Usa danno ai loro lettori quello che i lettori vogliono: perché, alla fine, l’ obiettivo è massimizzare i profitti.
Ritornando al Web, le sorprese continuano. Questa volta parliamo dei
social network, dove la parola chiave è “
essere connesso”. Da
Facebook,
Twitter, ai
blog le notizie non sono confortanti: in rete siamo più bugiardi, più cattivi, pronti ad umiliare i nostri pseudo-amici. A dirlo è
Parry Aftab, avvocato esperto in cyber-sicurezza: «
Non bisogna più guardare l’altro negli occhi per insultarlo. Siamo tutti coraggiosi, alla tastiera. Ed è più facile attraversare il confine tra umorismo e crudeltà». Più facile anche a causa del bombardamento dei reality. A furia di vedere gente che si rende ridicola e si fa umiliare per aumentare l’audience, molti pensano sia normale. Dalle foto nude della fidanzata fedifraga messe su Facebook da un uomo senza scrupoli, che hanno fatto indignare il popolo “internettiano”, agli scherzi apparentemente più innocenti. Come ad esempio i gruppi, nati sempre su Fb, su compagni di classe che “puzzano”. È divertente ma, se il ragazzo in questione fa la terza media, può essere un danno psicologico irreparabile.
In America, il
mobbing via Facebook ha già provocato dei
suicidi di adolescenti. C’è chi obietta che ci sono sempre stati, tra ragazzi marginalizzati e presi in giro, ma ora il rischio sembra maggiore. Grazie all’anonimato possibile sul Web è più facile non assumersi le proprie responsabilità nascondendosi dietro un’identità fittizia e distruggendo qualcuno con post e foto.
Sul Web tutto è immediato, ma le conseguenze e le tracce sono permanenti. Usare un social network quando si è infuriati fa danni immediati. È la cultura dell’umiliazione, “
Culture of humiliation” come l’ha battezzata il
Wall Street Journal. Viene massacrata una quasi certamente “fattissima”
Whitney Houston, che continua a fare concerti ma non riesce a finire una canzone (il video in cui biascica disperatamente
I Will Always Love You è stato molto condiviso). Vengono fondati gruppi contro
Mario Balotelli, intemperante giocatore dell’Inter, e i titoli sono irriferibili. Ma non sono solo i personaggi noti ad essere colpiti. I bersagli si moltiplicano: immigrati, omosessuali, rom, Down, e altro. Spesso, per fortuna, da noi, nonostante le preoccupazioni per la cultura dell’odio, l’ironia prevale. «
Aiutiamo Scajola a trovare chi gli ha pagato la casa» è uno dei gruppi più popolari di questi giorni.
di Ilaria Eleuteri