Uno strumento d’indagine usato, ma anche abusato, spesso strumentalizzato, che divide l’Italia, non solo politica. “
In Italia siamo tutti spiati. Ci sono circa 150 mila telefoni sotto controllo: considerando 50 persone per ogni telefono, vengono fuori così 7 milioni e mezzo di persone che possono essere ascoltate. Questa non è vera democrazia, è una cosa che non tolleriamo più”. A delineare lo stato dell’arte è il Presidente del Consiglio,
Silvio Berlusconi, che con queste recenti dichiarazioni ha scatenato le polemiche del Pd, con
Bersani che parla di “
terrorismo ad personam” e dell’
Associazione nazionale magistrati.
Luca Palamara, presidente dell’
Anm, ha smentito così le cifre: “
nel 2009 – spiega –
le utenze telefoniche intercettate sono state 119.553, le cimici piazzate in ambienti pubblici e privati sono state 11.119, mentre le ‘altre tipologie di bersaglio’ sono state 1.712, per un totale di 132.384 intercettazioni. Il tutto al costo di circa 272 milioni di euro, un dato di poco superiore alla media di spesa degli anni 2003-2009”. Uno dei decreti più discussi del Paese, che cerca un equilibrio tra privacy, diritto di cronaca e dovere d’indagine, si trova ora all’esame in terza lettura della Camera. Il testo attuale sulle intercettazioni prevede che la pubblicazione di atti d’indagine in corso sarà consentita solo per riassunto e gli editori che dovessero pubblicarli rischiano una multa fino a 300mila euro. Tra le altre principali misure del provvedimento, le intercettazioni di conversazioni telefoniche non sono pubblicabili fino al termine delle indagini e gli editori inadempienti rischiano multe di oltre 300mila euro, fino a 450mila euro se riguardano persone estranee alle indagini. Per quanto riguarda i giornalisti, la pubblicazione di intercettazioni o atti coperti da segreto durante l’indagine comporterà l’arresto fino a 30 giorni o un’ammenda fino a 10mila euro. Le registrazioni effettuate di nascosto sono consentite solo ai giornalisti professionisti e al personale dei servizi per un periodo limitato di 75 giorni. Restano, però, in campo almeno quattro nodi, sui quali i parlamentari vicini a
Fini, guidati dal presidente della commissione giustizia alla Camera
Giulia Bongiorno, vogliono chiarezza: la proroga della durata degli ascolti, la responsabilità giuridica dell’editore, l’intercettabilità dei cosiddetti ‘reati satellite’ e la condanna fino a 4 anni per registrazioni fraudolente. Il premier Berlusconi si è detto aperto alle modifiche in un videomessaggio sul sito dei ‘Promotori della libertà’: “
Cari amici, chiedo il vostro sostegno – afferma il premier –
per spiegare agli italiani i valori e i contenuti bisogna impedire che questa legge subisca la stessa sorte che di solito subisce una legge che non piace alla sinistra e ai suoi pm politicizzati. Cambiamola, rivediamola, emendiamola, miglioriamola, ma approviamola, è nell’interesse di tutti. Altro che casta”. Apertura che però lascia diffidente l’opposizione:
Bersani, infatti, non si fida e annuncia che il Pd “vigilerà”. Quanto alla priorità, “
ormai – ha detto
Bossi –
le cose sono state messe in fila”. Il Parlamento deve affrontare nei prossimi mesi tre provvedimenti, tutti con la stessa valenza: l’imminente legge di conversione del decreto per la manovra finanziaria, che ha una scadenza ed è obbligatoria, la legge sulle università e quella sulle intercettazioni. “
Noi abbiamo preparato il provvedimento in quattro mesi. – spiega Berlusconi all’assemblea di Confcommercio –
È stato undici mesi alla Camera, dodici mesi e mezzo al Senato, e ora alla Camera si parla di metterlo in calendario a settembre. Poi bisognerà vedere se il capo dello Stato lo firmerà e poi, quando uscirà, ai pm della sinistra non piacerà e si appelleranno alla Corte costituzionale che, secondo quanto mi dicono, la boccerà”. Nella partita, infatti, gioca un ruolo decisivo il Quirinale: finché il Pdl non avrà la certezza del via libera del Colle, la corsa contro il tempo sarebbe inutile e rischia di avere ricadute negative sulle altre riforme. Ma la
legge-bavaglio dovrà anche superare lo scoglio della
Commissione Ue, unico organismo sovranazionale in grado di imporre cambiamenti alle leggi approvate dai governi. “
Quando sarà approvata analizzeremo a fondo il ddl tenendo presente che la Commissione difende sempre la libertà dei media e di informazione che sono valori fondamentali per l’Ue”, spiega il responsabile europeo alla Giustizia,
Viviane Reding, che promette uno scrupoloso esame. Anche l’Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa prende posizione e boccia il ddl, che “
indica un atteggiamento volto a criminalizzare il lavoro giornalistico” e per questo andrebbe ritirato o rivisto secondo gli standard internazionali.
di Valeria Fornarelli