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Reality Killed The Video Star

Robbie_Williams_-_Reality_Killed_The_Video_StarRobbie Williams

Un disco flop (Rudebox), la vincente reunion dei suoi ex compagni di gavetta (i Take That) e tre anni di silenzio in cui, Robbie Williams, è entrato e uscito dalla rehab per disintossicarsi da alcol e droghe.

La sua carriera sembrava finita ma la verità è che, nonostante i timori dei fans per le sue condizioni di salute, nessuno si era mai rassegnato all’idea che Robbie potesse cadere nell’oblio. Perché dopo quasi 15 anni di carriera solista e 55 milioni di dischi venduti, non si può sparire nel nulla. Perché un grande artista che inciampa nelle insidie del successo può cadere, ma saprà anche rialzarsi. Ed ecco che il produttore giusto, Trevor Horn (ex componente dei Buggles, quelli di Video Killed The Radio Star, da cui il titolo del disco) incontra il giusto interprete, Robbie, la cui voce inconfondibile ha fatto la storia del pop anni ‘90. Nasce così Reality Killed The Video Star, uscito lo scorso 9 novembre, l’album con cui il neo “King of Pop” si propone di riconquistare l’affetto del pubblico.
Sin dalle prime note, è evidente che siamo lontani dal fallimento di Rudebox: Morning Sun è un inizio azzardato, un apripista malinconico e solenne ed è probabile che sia l’omaggio di Robbie a Michael Jackson, di cui si era tanto parlato. Il brano racconta di una persona scomparsa e della sua vita difficile, vita in cui Robbie sembra rispecchiarsi: “Cause I’ve been close to where you are, all the places you haven’t seen, it all seems so familiar, like they’ve been sent to kill’ya”(Sono stato vicino al luogo in cui ti trovi, tutti i posti che non hai visto, sembra tutto così familiare,  come se fossero stati mandati per ucciderti). A restituire energia all’album, ci pensano i toni apocalittici di Bodies il primo singolo estratto: un intro con incursioni electro ci introduce in un bel brano pop/rock condito con archi epici, che entrano subito nelle ossa, e non è un caso che il pezzo sia già una hit in tutta Europa. Sappiamo anche che con You know me, il secondo singolo già in rotazione radiofonica, Robbie non sbaglierà neanche il prossimo colpo: è un brano che ci riporta ai fasti degli anni ’50, con parti corali squisitamente retrò, una potente sezione melodica dominata dal pianoforte e un testo che parla di una storia d’amore tormentata. Le campane e un ritornello appassionato e struggente, fanno il resto: è il brano giusto da pubblicare a un mese dal Natale. Segue Blasphemy, un lento (forse il migliore del disco) dall’atmosfera intimista, splendido nella sua malinconica tristezza. Ma la “punta di diamante” di Reality Killed The Video Star è certamente Do you mind?: è il singolo più accattivante, con un testo scanzonato e divertente e un ritornello scandito come fosse una filastrocca, che ci tormenterà alla radio, in macchina e anche sotto la doccia. In Starstruck il neo “King of Pop” parla di se stesso e del suo difficile rapporto con il successo: lo fa a tempo di una ballad nella quale, elementi della dance anni ’70 incontrano il George Michael della metà degli anni ’90. Ma Robbie sembra apprezzare parecchio i salti nel passato ed ecco che, con Last Days Of Disco e Difficult For Weirdos, ci catapulta negli anni ’80: se nella prima ci sono chiari riferimenti agli Eurythmics che non mettono comunque in discussione l’omogeneità dell’album, la seconda canzone è una full immersion nel mondo dei Pet Shop Boys e dei Frankie Goes Hollywood, esagerata, tanto da apparire fuori posto. Ci piacerà lo stesso, ma sarebbe stata meglio in un disco come Rudebox (è la versione, meno sofisticata, di Kiss Me). Dopo questa parentesi dance, si torna al pop formale con Won’t Do That (il pezzo che aveva dimenticato di inserire in Escapology) ma la conclusione è tutta per la malinconia di Morning Sun, qui in versione [Reprise]. Con Reality Killed The Video Star, Robbie ha fatto centro: è un ritorno alla forma, a un pop moderno che non rinuncia agli elementi electro, ma che non cede alle lusinghe di tanta musica iper-prodotta per esigenze di mercato. Il bad boy inglese l’aveva anticipato, e infatti ascolterete: “un vecchio Robbie, un nuovo Robbie, e un Robbie che nessuno ha mai incontrato”. Ma è comunque lui, Robbie Williams: sempre lo stesso, sempre diverso, mai banale.

di Lucia Gerbino

Svevo Ruggeri
Svevo Ruggeri
Direttore, Editore e Proprietario di Eclipse Magazine